L’inconcludenza è velenosa. Uccide. E’ la centesima volta che conversazioni private sono esposte al pubblico ludibrio. E’ la centesima anche che la politica freme, si duole, s’attiva e rincula. Capiterà ancora, per ignoranza e viltà. Ma guardate quel che succede: ci fu un tempo in cui gli italiani erano i più assidui frequentatori di elezioni, fra i cittadini delle democrazie vere, e ci fu un tempo, successivo, che riversarono sulla magistratura l’aspettativa di un mondo migliore, o, almeno, più onesto; ora l’affluenza alle urne è crollata, segno di larga sfiducia nei politici e nella politica, ma s’è inabissata anche quella nella giustizia e nei magistrati, visto che la Commissione europea, con l’Eurobarometro (per la prima volta attivato sul tema), ha misurato un disincanto e una non credibilità dell’indipendenza delle toghe tali da porci al terzultimo posto in Europa, appena sopra i bulgari e gli slovacchi.
Insomma, noi discutiamo, con monotona ripetitività, dei grandiosi conflitti fra politica e giustizia, non accorgendoci che il tema è ben diverso: il divorzio fra l’opinione pubblica, da una parte, e la politica con la giustizia, dall’altra. Crediamo che il conflitto sia ingenerato da uno scontro di poteri in una fase di passaggio (è da quando so leggere e scrivere che siamo in una fase di passaggio, e passerò senza che sia passata), invece non si risolve solo perché è inconcludente. Non sono i contendenti a farsi veramente male, semmai è il loro contendere che fa veramente male al sistema produttivo e al clima civile.
Due esempi. Primo: la mancanza di rendicontazione. Vale per tutta la nostra vita collettiva, dal fisco alla giustizia, dalla sanità ai conti pubblici: grandi scontri, epiche battaglie, esiti miserrimi e poi nessuno controlla come è andata a finire. Chi se ne frega, tanto oramai lo spettacolo è andato. Qualsiasi meccanismo funziona se si pianifica un’azione, con tempi e costi; la si gestisce adattandosi agli imprevisti; quindi si controlla come è andata. Se c’è il successo si premia progetto e gestione, altrimenti si cambia. Invece noi non cambiamo mai, o, meglio, cambiamo progettisti e gestori, che poi progettano e gestiscono sempre allo stesso modo. Perché manca l’accettata rendicontazione. Ma vi rendete conto che continuiamo a polemizzare sui dati della disoccupazione, posto che ciascuno li riferisce a quello che gli pare, evitando di usare il solo dato utile, quello dell’occupazione? L’accordo su cosa e come si misura va fatto prima. E, fateci caso, basta che questo sia stabilito a livello europeo (con il nostro contributo, magari dormiente) che, a un certo punto, il governo italiano obietta: no, si deve misurare in modo diverso. Dillo prima, altrimenti non ha senso.
Secondo: l’ignoranza mista a viltà. Un problema si deve conoscerlo, mica solo annusarlo. Se uno dice (come disse la destra al governo e come dice ora Renzi): le intercettazioni sono utili alle indagini, ma sui giornali non deve finire quel che non è penalmente rilevante, se lo dice è perché non sa quel che dice. Non funzionerà mai. Se voglio dimostrare che Tizia prende ordini da Caio è rilevante anche il boudoir. Così non ne usciranno mai. E non solo la rinuncia a riformare è una resa, ma l’idea che la faccenda possa essere demandata all’autoregolamentazione delle procure è roba a caratura golpistica. Semmai si affermi: 1. intercettare resta utilissimo per sapere e prevenire (chi non vorrebbe intercettare i terroristi?); 2. una volta che sai di un possibile reato ne osservi i protagonisti, bloccandoli non appena il loro agire conferma il loro dire, costituendo la prova con cui farli condannare; 3. le intercettazioni non vanno mai nel fascicolo, mai al processo, perché sono servite a raggiungere le prove, non sono le prove. A quel punto, se esce un fiato, sappiamo per certo che c’è da perseguire un ulteriore reato. Senza scuse su presunte pubblicità degli atti.
Troppo facile? No. E’ che ciò toglierebbe pane da troppe bocche: da quelle dei magistrati in cerca di visibilità; dei giornalisti che s’inciuciarono con l’esibizionista; dei politici avversari, che se ne impipano dell’incoerenza e cavalcano il colpevolismo così come cavalcarono l’innocentismo. Tanto nessuno ricorda, nessuno rendiconta. In compenso si sprofonda.
Davide Giacalone
@DavideGiac
Pubblicato da Libero