Da ildubbio.news, pubblichiamo l’intervista a Piero Tony, Presidente del Dipartimento Giustizia della Fondazione Einaudi.
Piero Tony è un ex magistrato atipico. Ex procuratore capo di Prato, per 45 anni ( dal 1969) anni ha fatto vita associativa “militando” in Magistratura democratica, la corrente di sinistra dell’Anm, fino a quando non ha deciso di andare in pensione e denunciare le storture della sua corporazione.
«Ho deciso che è arrivato il momento di dire basta. Il momento di smetterla di tacere. Dopo tutto quello che ho visto, dopo tutto quello che ho sentito, ho preso una decisione: mollare. L’ho fatto perché continuare così non era più possibile. L’ho fatto per essere libero di parlare», dichiara nel suo libro Io non posso tacere (Einaudi) scritto insieme al direttore del Foglio Claudio Cerasa.
Al centro delle sue invettive, c’è soprattutto la deriva giustizialista che negli anni ha coinvolto molte toghe e il correntismo che spesso si è sostituito alla politica.
Dottor Tony, il capo dell’Anm Piercamillo Davigo è convinto che i magistrati non debbano fare politica «mai». Lei è d’accordo?
Sono contrario a chi fa politica utilizzando la visibilità acquistata sul lavoro. Però il diritto del magistrato di fare politica è garantito dalla Costituzione, che rimanda alle leggi il compito di assegnare eventuali limiti.
Se ce ne fosse una che impone al magistrato un periodo di “decantazione” prima di entrare in politica, andando in aspettativa per un anno o andando a lavorare in un altro distretto, a me non darebbe fastidio.
Perché se uno oggi chiede una misura cautelare nei confronti del “signor X” e domani, dopo aver letto tutte le intercettazioni, si da alla politica mi pare che questo cozzi con l’etica e la ragionevolezza.
Pensa che qualcuno dei suoi ex colleghi abbia approfittato della notorietà da magistrato per fare carriera in altri ambiti?
Non c’è dubbio ma non mi faccia far nomi perché sono sotto gli occhi di tutti. Ci sono persone che se non avessero acquistato visibilità facendo i magistrati in modo politico non avrebbero avuto alcun tipo di incarico.
Il problema, però, per quanto mi riguarda, è un altro: una volta entrati in politica, diritto sacrosanto, non si torna più indietro. Perché dopo che hai militato in un partito non sarai più in grado di rassicurare il cittadino.
Matteo Orfini ha appena detto una cosa simile: «A me un magistrato che passa a fare politica in prima persona e poi torna in magistratura, allarma». Sapeva di essere in sintonia col presidente del Pd?
Non sapevo di questa sua presa di posizione e non mi gratifica neanche essere d’accordo con Orfini. Però, sì, io la penso così: appena decidi di fare politica hai smesso di fare il magistrato.
Orfini si riferiva di Michele Emiliano, magistrato fuori ruolo che potrebbe diventare il segretario del maggior partito italiano. Cosa pensa del presidente della Puglia?
Io ero convito che lui fosse già fuori dalla magistratura, ho scoperto che non era così solo nell’ultimo mese. Emiliano del resto fa politica alla luce del sole da parecchi anni, non si è mai nascosto. Mi faccia dire una cosa però: il fatto che solo adesso ci si interroghi sulla sua posizione, che al massimo comporta un piccolo problema disciplinare, mi puzza di strumentalità.
Ultimamente il governatore è finito al centro dell’inchiesta Consip come testimone. Lotti gli avrebbe mandato degli sms per suggerirgli un incontro con l’imprenditore Carlo Russo, amico del papà di Renzi…
Non so che uso faccia lei degli sms, ma se io ne conservo uno è perché credo che possa servirmi in futuro. Non a caso è vietato per i magistrati iscriversi in un partito politico: ti ritrovi in un bailamme che compromette la tua terzietà.
Perché una persona che fa politica da così tanti anni non decide autonomamente di lasciare la toga?
Credo che ci sia innanzitutto la sicurezza di avere una famiglia, quella dei magistrati. Scatta un principio di prudenza per cui se le cose vanno male c’è sempre un’alternativa. Rimanere in quella casa è rassicurante.
Meglio rimanere al proprio posto?
Ognuno ha diritto di fare le sue scelte ma devono essere chiare, non bisogna sguazzare nell’acqua torbida. Il confine deve essere netto.
Spesso la magistratura ha condizionato la vita politica del Paese. Crede ci sia stato un eccesso di protagonismo?
Io non credo che la magistratura abbia voluto mai condizionare la politica, ha solo affermato una sua presenza. In maniera anche autoritaria. Certo, si può discutere sul modo di condurre le indagini. C’è stato qualche magistrato all’epoca di Mani pulite che disse che bisognava combattere un fenomeno. Ecco, quando io sento affermazioni di questo tipo mi si accappona la pelle. Molto spesso si scivola nel voler moralizzare il mondo.