Non fosse estate, sarebbe opportuna una protesta degli studenti. Non lo sciopero per schivare la scuola, ma per dare voce a chi studia volendo migliorare. Ecco la tanto evocata e falsamente deprecata “scuola di classe”: quella che non promuove chi è meritevole, ma svantaggiato. Lasciando immutate le caste di partenza.
La fotografia scattata dai testi Invalsi, per valutare il lavoro d’insegnamento e apprendimento, fatto a scuola, restituisce una realtà inaccettabile. Analoghi test internazionali (Pisa) collocano l’Italia in posizioni umilianti.
Questi, nazionali, ne spiegano il perché. Non stupirebbero le differenze fra una scuola e l’altra, perché è normale. È patologico, invece, che il nord d’Italia sia saldamente collocato sopra la media nazionale e sia abbastanza omogeneo, mentre il sud e le isole non solo sono costantemente e drammaticamente sotto, ma con scostamenti interni enormi.
Vale a dire che ci sono scuole buone, scuole insufficienti e troppe scuole dove la matematica non la si conosce fra i banchi, ma neanche in cattedra.
Chi è indietro ci resterà. Nulla di più ingiusto. In queste condizioni il valore legale del titolo di studio non è soltanto un feticcio da superare, ma una beffarda presa in giro.
Vedremo un corteo studentesco pro-meritocrazia? Difficile. Si trascinerà lo scambio più vizioso: il servizio pubblico offerto è scadente, ma chi deve riceverlo (studenti e famiglie) non ne chiede uno migliore, bensì di avere il pezzo di carta. Il diploma.
Tu Stato mi dai poco, allora chiedimi poco. Peccato che resti niente.
I dati Invalsi andrebbero pubblicati disaggregati (come altri fanno), scuola per scuola, sezione per sezione. Per indirizzare premi e soldi e perché chi non vuole il niente in cambio di poco ha diritto di sapere da cosa far fuggire i propri figli. [spacer height=”20px”]
Davide Giacalone, Il Corriere della Sera 7 luglio 2017