Capitale corrotta — nazione infetta. Il titolo del 1955 del settimanale L’Espresso ancor oggi viene spesso citato. Sessantadue anni fa, l’articolo di Manila Cancogni prendeva di mira la speculazione edilizia e l’enorme livello di corruzione che essa stava generando.
Ma ancor oggi la metafora rimane vera: quel che succede nella capitale d’Italia si riverbera nelle fibre del resto della nazione. Lo stato deplorevole del trasporto pubblico locale nell’Urbe e, ad esempio, lo specchio dei mali che affliggono l’intero settore in Italia: bilanci in perdita a spese del contribuente, clientelismo, mancanza di concorrenza, inefficienza e cattiva qualità del servizio.
Da noi, peraltro, il trasporto sembra la saga dello spreco e del corporativismo: pensiamo alla vicenda Alitalia; a quella — vergognosa — di Flixbus, la compagnia di autobus low cost gradita ai clienti ed abbattuta dai parlamentari; alle peripezie di Uber; alla pericolosa inefficienza delle ferrovie locali; ai continui scioperi, a singhiozzo, a scacchiera, a testuggine; allo shopping di Ferrovie che prima si è comprata Anas e ora un po’ di tutto. Atac, la società che gestisce l’80% del trasporto pubblico a Roma, non è un’eccezione alla regola.
Certo, la compagnia romana, nota fuori dalla capitale grazie anche al jingle della Sara Cecilia, Aggiungi un posto all’Atac, che spopolo su YouTube ai tempi di Alemanno sindaco, non è seconda a nessuno in questa classifica dell’horror.
Ogni anno il conto economico evidenzia sostanziose perdite (70 milioni nel 2015, 100 nel 2014 mentre il bilancio del 2016 non è ancora disponibile) che accumulate raggiungono ormai il miliardo e 100 milioni, senza contare i miliardi di sovvenzioni che comunque arrivano dallo Stato, altrimenti la situazione sarebbe ben peggiore: i ricavi tariffari coprono infatti solo il 30% dei costi operativi dell’azienda.
E questi disavanzi fanno il paio con una riduzione dei biglietti venduti e dei servizi offerti, pur in presenza di un aumento dei turisti e una diminuzione del traffico privato. Comprensibilmente, i cittadini romani sono molto insoddisfatti della qualità del servizio (solo i palermitani sono più arrabbiati) e, per non sbagliarsi, evadono in massa il pagamento del biglietto.
Questo non ha scoraggiato i dirigenti di Atac, il cui sindacato ha firmato un accordo aziendale che gli riconosce lauti premi aziendali che recuperano anche i favolosi e produttivi anni passati. Il comune, imperterrito, continua ad affidare alla propria controllata il servizio di trasporto locale con criteri che sono stati giudicati opachi dall’Autorità Antitrust in quanta senza gara, senza criteri per il compenso, senza motivazioni per l’affidamento.
Il tutto è in mano al Tar del Lazio e non resta che sperare per il meglio. Finora le promesse di risanamento e miglioramento non sono state mantenute, quindi varrebbe la pena di provare qualcos’altro e l’iniziativa proposta dai Radicali con l’appoggio di numerose personalità accademiche e del mondo delle professioni sembra molto sensata.
Gli eredi più di Mario Pannunzio che di Pannella in questa caso, stanno difatti raccogliendo le firme per indire un referendum affinché Roma possa decidere se mettere in concorrenza Atac con altri operatori. Si tratta di organizzare il settore secondo modalità cosiddette di “concorrenza per il mercato” piuttosto che “nel mercato”.
La differenza è che nel prima caso il concessionario del servizio, vale a dire il Comune, stabilisce obiettivi e prestazioni imprescindibili (ad esempio l’autobus deve raggiungere anche la tal zona periferica pur se la tratta non è profittevole) e indice la gara. Vince chi assicura il miglior rapporto qualità-prezzo (sebbene in sede di aggiudicazione sia sempre pia facile giudicare il prezzo che la qualità pro-messa).
È imprescindibile che la concessione non duri un numero infinito di anni però, poiché se l’aggiudicatario sa di star tranquillo per 30 o 50 anni avrà pochi stimoli concorrenziali (rappresentati dalla minaccia di perdere la gara successiva se il servizio è scadente) ed in più è bene affidare più lotti in zone diverse in modo che sia possibile anche fare paragoni tra un concessionario e l’altro e diffondere per emulazione le migliori pratiche (la concorrenza è soprattutto diffusione della conoscenza ci ha insegnato Friedrich von Hayek).
Va pur detto che non si deve nemmeno esagerare in senso opposto: un’eccessiva parcellizzazione e una durata troppo breve del periodo di concessione impedirebbero economie di scala e inibirebbero gli investimenti. Prevedibilmente, gli studi fin qui effettuati (Boitani-Nicolini-Scarpa; Jerch-Kahn e altri) evidenziano che tali liberalizzazioni riducono i costi e fanno guadagnare in efficienza.
Anche un recente studio di Arrigo e Giuricin ha mostrato che nella micro-competizione presente a Roma tra Atac e Roma Tpl — società che gestisce le linee periferiche e circa il 20% del trasporto locale romano — mentre il costo per vettura-chilometro di Roma Tpl era nel 2013 di 4,54 euro, quello di Atac era di 7,33 euro, il 61% in più.
I radicali stanno raccogliendo migliaia di firme per far scegliere i romani tra monopolio e concorrenza: vale la pena munirsi di penna e possibilmente fare lo stesso anche in altre città. [spacer height=”20px”]
Alessandro De Nicola, La Repubblica 9 luglio 2017