Con l’approssimarsi della campagna elettorale era inevitabile che fioccassero proposte fantasiose e dispendiose. Prendiamo la richiesta che sta circolando in questi giorni sul web per il riscatto gratuito della laurea ai fini pensionistici.
Il ragionamento alla base delle petizione è semplice: nel futuro le pensioni, calcolate col metodo contributivo, saranno più basse e per ritirarsi sarà necessario lavorare molti anni fino a tarda età.
I lavori dei giovani, che soffrono di un alto tasso di disoccupazione e di una bassa scolarità rispetto alla media europea, sono sempre più precari e quindi rendono necessari vari ricongiungimenti spesso svantaggiosi nei passaggi tra lavoro autonomo, dipendente e periodi di disoccupazione.
Anche oggi è possibile riscattare gli anni di laurea, ma il calcolo è parametrato allo stipendio che si riceve al momento della richiesta.
Si calcola, ad esempio, che una donna di 27 anni con uno stipendio di 21mila euro dovrebbe versare per riscattare la laurea 24.800 euro. Un 40enne che guadagna 52mila euro dovrebbe invece sborsarne 59mila, una cifra veramente considerevole.
La soluzione? Semplice: gli anni di laurea verranno contabilizzati automaticamente nel calcolo pensionistico. Come e quanto, non si sa, ma questo è un dettaglio.
Ai vecchi tempi Ugo La Malfa avrebbe semplicemente chiesto: “Chi paga?”. Oggi no. Anticipando il mondo rousseauiano vagheggiato da Casaleggio, basta una chat in rete e subito si trova un politico che si affretta a seguire l’onda.
Nella fattispecie, l’on. Baretta, sottosegretario all’Economia, ha annunciato che il governo “sta studiando come fare” e che sarà avviato un tavolo tecnico, precisando che il provvedimento che egli ha in mente dovrebbe beneficiare solo i millenials nati tra il 1980 e il 2000 e che si siano laureati in corso, salvo casi di forza maggiore.
Vediamo perché la proposta, oltre che inattuabile, è iniqua e inefficiente.
Prima i dati. Nonostante la riforma Fornero, la percentuale di PIL che l’Italia continua a spendere in pensioni viaggia intorno al 16% e continua ad essere la più alta d’Europa (salvo, per poco ancora, la Grecia) e quindi probabilmente del mondo.
Inoltre, il numero dei lavoratori dipendenti rispetto a quelli autonomi non sta subendo variazioni significative negli ultimi anni: anzi, semmai c’è una diminuzione delle partite IVA.
Peraltro, come dimostrano le statistiche sulla disoccupazione, è sufficiente un minimo di ripresa economica unita ad una normativa più flessibile ed i numeri (pur tra luci e ombre) migliorano: negli ultimi tre anni gli occupati sia rispetto agli inattivi che in quantità assoluta sono aumentati e la disoccupazione giovanile è scesa di quasi 9 punti percentuali. Insomma, quel che serve è crescita e riforme.
Il riscatto gratuito, invece, in primis sarebbe sicuramente discriminatorio e quindi iniquo. Perché quelli nati nel 1980 sì e non la generazione del 1979 (o ogni altra combinazione)? Il laureato con 80 in 3 anni e 9 mesi va bene e quello con 110 e lode in 4 anni sarebbe escluso? Si tratterebbe di un provvedimento probabilmente incostituzionale.
Inoltre, qualsiasi modifica comporterebbe un aggravio futuro del deficit e del debito, portando ad un aumento delle tasse o al taglio delle spese magari per investimenti e quindi incidendo esattamente su quella crescita economica che è l’unico rimedio dell’attuale situazione di difficoltà.
Questo, si badi bene, senza nessun beneficio, diretto o indiretto, sull’occupazione, né sugli incentivi ad una maggior produttività sul lavoro. Il tutto favorendo per di più i giovani laureati che mediamente sono più ricchi rispetto a chi non ha il titolo di studio universitario.
E tra i laureati sarebbero favoriti quelli con i redditi più alti (che avrebbero dovuto pagare di più per il riscatto) rispetto ai meno abbienti, le oculiste (6 + 4 anni) rispetto alle igieniste dentali (3 anni): un capolavoro di regressività.
Costosa, iniqua, regressiva, negativa per lo sviluppo economico. Bisogna ammettere che pur applicandosi è difficile concepire una legge che riesca a soddisfare tutte queste condizioni.
Complimenti. [spacer height=”20px”]
Alessandro De Nicola, La Repubblica 2 agosto 2017