Pacciani? Il vero mostro è quell’inchiesta

Pacciani? Il vero mostro è quell’inchiesta

Dal 1968, data del primo (presunto) delitto di quello che la cronaca nera ribattezzerà, molti anni dopo, “il mostro di Firenze”, la verità è ancora ben lontana dall’essere definitivamente scritta. Soprattutto per i più giovani è forse impossibile, oggi, comprendere a pieno la catena di eventi che contraddistinse l’infinita trafila giudiziaria come pure l’attenzione, ai limiti del morboso, che catalizzò l’Italia durante quei lunghissimi anni di congetture, sospetti e clamorose smentite.

Tante, troppe le contraddizioni che aleggiano ancora a distanza di diciotto anni dalla conferma, da parte della Cassazione, della colpevolezza dei “compagni di merende”. E come in un flashback fuori tempo massimo l’attenzione dei media, in questa torrida estate italiana si riposa, di nuovo, su quei famigerati proiettili Winchester serie H e sulla Beretta calibro 22, l’arma di quei sedici omicidi mai trovata dagli inquirenti.

In occasione dell’ennesima apertura di una indagine, stavolta a carico dell’ottantaseienne ex legionario Giampiero Vigilanti, Piero Tony, magistrato noto per i numerosi processi “da prima pagina” ma soprattutto il pm che, durante il processo d’appello, ebbe il coraggio di chiedere (ed ottenere) l’assoluzione per Pietro Pacciani (morto da innocente prima che la Cassazione potesse pronunciarsi) torna a parlare in esclusiva per Panorama del più intricato caso di cronaca nera nazionale. [spacer height=”20px”]

Nonostante siano passati 18 anni dalla definitiva pronuncia della Cassazione sui “compagni di merende” siamo ancora a parlare dell’ennesima svolta nelle indagini. Tutto ciò conferma i suoi dubbi?

 Si assolutamente. E aggiungerei clamorosamente. A tutto quello che ruota attorno al pianeta Pacciani non accordo più un briciolo di credibilità, soprattutto alla luce di quello che sto leggendo in queste ore. [spacer height=”20px”]

All’epoca gli inquirenti batterono praticamente tutte le strade possibili, dalla pista sarda a quella esoterica. Oggi, con l’indagine a carico di Vigilanti spunta addirittura la pista nera. Secondo lei sarà mai possibile stabilire definitivamente la verità, soprattutto a distanza di così tanti anni dagli eventi?

Non sarà mai possibile. La storia di questi processi è già sgangherata di suo e per un motivo molto semplice. Su otto duplici omicidi Stefano Mele venne condannato per quello del ’68, Pacciani per i successivi sette e i compagni di merende solo per quattro. Poi, stando alle ultime novità, mi sembra che, più a che supposizioni, ci si trovi di fronte alla più completa divinazione.

Si parla, di nuovo, di esame del DNA sulle buste minatorie inviate dal “mostro” nel 1985 ai pm di Firenze, una perizia questa, già esistente e che addirittura, durante il processo a carico del farmacista Calamandrei (ritenuto il mandante dei compagni di merende ndr.) venne data per persa perché non si riusciva a ritrovare. Per questo faccio i miei migliori auguri agli investigatori ma per me è un film già visto. [spacer height=”20px”]

Nonostante l’enorme pressione mediatica del tempo lei ebbe il coraggio di chiedere ed ottenere l’assoluzione di Pacciani, smentendo così anche le tesi della stessa procura di Firenze. Una scelta che fece discutere. Perché i giudici le dettero ragione?

 Perché con quello che avevano a disposizione non potevano fare altro. Contro Pacciani c’era il nulla, solo quintali di carte. Da qualsiasi lettura degli atti e sulla base di un minimo di esperienza era evidente come Pacciani fosse un soggetto che non corrispondeva affatto al profilo psicologico tracciato dagli eminenti criminologi interpellati.

I profondi dubbi, mai chiariti, sul ritrovamento di alcune prove, come il famigerato proiettile trovato nel giardino della casa di Pacciani e, nel complesso, l’intera gestione dell’impianto accusatorio spinsero il giudice Ferri, addirittura, a dimettersi dalla magistratura dopo aver assolto Pacciani e scrivere un libro-denuncia. L’accusa era stata costruita ad arte. E non lo dissi io ma la sentenza. [spacer height=”20px”]

Da chi ottenne le critiche più feroci per il suo operato e soprattutto, cosa significa, in Italia, smentire durante un processo di quelle proporzioni le tesi della propria procura?

Fu un grosso peso e una grossa responsabilità. Ero convinto di dover andare incontro, sin dal giorno dopo, ad un vero e proprio plotone di esecuzione ma ho solo applicato la legge, soprattutto per quanto riguarda l’obbligo del pm di valutare prove a favore della persona sottoposta alle indagini, un articolo del codice finito nel dimenticatoio.

Credevo e credo tutt’ora che lavorare per la giustizia significhi rispettare la legge, tutta la legge, non solo una parte. Il mio principale “accusatore”, il procuratore capo di Firenze Pier Luigi Vigna, ebbe addirittura a dire che avrei atomizzato gli indizi come facevano, secondo lui, gli avvocati dei mafiosi. Ma non volli dargli peso e lasciai correre anche se il CSM lo censurò severamente. [spacer height=”20px”]

Decine di persone, dovettero sperimentare, sulla loro pelle, gli effetti della gogna mediatica a causa di clamorose congetture, poi rivelatesi errate, da parte degli inquirenti i quali, durante le indagini, presero anche delle cantonate pazzesche, ai limiti del tragicomico. Questa serie di processi, che divennero per lunghi tratti un vero e proprio spettacolo grottesco, è secondo lei lo specchio del nostro sistema-giustizia?

Sì, purtroppo è spesso lo specchio del nostro sistema. E mi batto ancora affinché possa cambiare. Ieri come oggi indagini preliminari e il massacro mediatico rappresentano con frequenza il perno di tutto. Il sistema era ed ancora terribile, specialmente quando gli indagati, come in questo caso, hanno una certa età e rischiano di scontare una condanna a vita a seguito di un processo eterno, senza possibilità di riabilitazione.

Sono ancora incredulo per certe dichiarazioni che, all’epoca, si decise addirittura di mettere a verbale. Tra queste ne ricordo due clamorose su cui le persone che le resero pretendevano di essere non solo ascoltate ma anche credute. La prima, di una persona che sosteneva come i feticci escissi servissero per essere messi sotto il letto di Papa Wojtyla per una sorta di macumba. La seconda, ancora più assurda, nella quale si raccontava, invece, che sarebbero stati utilizzati da un medico tedesco per imbalsamare il corpo della figlia secondo i riti di un antico papiro egizio il quale, essendo mancante di una pagina, obbligava il medico a portare avanti degli esperimenti sulle parti molli.

Se fossimo in presenza di un vero processo accusatorio a queste assurdità non si sarebbe dato credito. Vuole la verità? Quando un processo si protrae per cinquant’anni credo sia doveroso l’intervento di una commissione parlamentare di inchiesta perché non è degno di un Paese civile. [spacer height=”20px”]

Se questa indagine dovesse ristabilire la verità riportando alla luce certi dubbi mai chiariti e Pacciani fosse ancora in vita cosa si sentirebbe di dirgli?

Se alla conclusione di questa indagine emergesse l’innocenza di Pacciani in merito ai delitti del mostro di Firenze mi sentirei soltanto di chiedergli io stesso scusa, a nome di tutti. [spacer height=”20px”]

Simone Santucci, Panorama 10 agosto 2017

 

 

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