Preoccupa il segnale della nuova norma: ne scrive Giovanni Belardelli sul Corriere della Sera del 19 novembre 2017
Con un recente decreto, il ministro Fedeli ha abolito il voto di condotta nella scuola media, e quindi la possibilità di far ripetere l’anno a chi abbia avuto un’insufficienza in questo campo.
Tale eventualità diventa impossibile ora che il voto di condotta sarà sostituito da una «valutazione del comportamento con giudizio sintetico e non più con voti decimali, per offrire un quadro più complessivo sulla relazione che ciascuna studentessa o studente ha con gli altri e con l’ambiente scolastico», secondo il linguaggio dei nostri responsabili dell’Istruzione.
Come se una simile valutazione più articolata non potesse essere semplicemente affiancata al voto di condotta espresso con un numero.
Nell’interpretazione del ministero, le nuove norme non indeboliscono la lotta al bullismo e il contrasto a comportamenti scorretti: resterebbe la possibilità di non ammettere alla classe successiva chi è stato escluso per motivi disciplinari dallo scrutinio finale.
Ma non è così. Infatti i citati motivi disciplinari, per non consentire il passaggio alla classe superiore (o agli esami di terza media) debbono riguardare addirittura, secondo quanto stabilisce lo Statuto delle studen-tesse e degli studenti, «reati che violano la dignità e il rispetto della persona umana», «casi di violenza grave» tali da «ingenerare un elevato allarme sociale» ecc.
Tutte fattispecie molto diverse dai casi di grave indisciplina o di «moderata» violenza legata a fenomeni di bullismo.
Ma a preoccupare non è tanto il contenuto specifico della nuova norma, visto che nella scuola media i casi di bocciatura per insufficienza in condotta credo fossero inesistenti o quasi.
A preoccupare è soprattutto il segnale che essa manda all’intero mondo della scuola: un segnale che inevitabilmente va nel senso dell’allentamento della disciplina.
E questo in un momento in cui ci sono istituti scolastici, come il liceo Virgilio di Roma, nei quali si verificano episodi gravissimi, in un clima che ieri la preside Carla Alfano, intervistata da questo giornale, ha definito «mafioso e intimidatorio»: bombe carta, feste con alcol e droga, un rapporto sessuale consumato a scuola, uno studente spacciatore arrestato.
Un clima che è semplicemente ridicolo pensare possa essere contrastato dal Piano nazionale per l’educazione al rispetto, da poco annunciato dal ministro Fedeli. Il Piano conferma infatti la tendenza in atto da tempo a ridurre ogni pedagogia a una retorica (sull’accoglienza, la Costituzione, il rispetto della diversità), priva di rapporto con la possibilità — anche solo teorica — della sanzione.
Se è possibile abolire il voto di condotta, per di più nel disinteresse pressoché totale dell’opinione pubblica, è anche perché tutto ciò che ha a che fare con la disciplina, il rigore, la serietà è da tempo considerato in modo sospetto.
A una parte del Paese — inclusi quei genitori del liceo Virgilio che hanno derubricato le bombe carta a semplici petardi — la sanzione di gravi mancanze nel comportamento non appare qualcosa che è collegato al senso del dovere e della responsabilità individuale, ma una forma di discriminazione sociale o una indebita limitazione della creatività dei ragazzi.
Come è stato detto più volte, questa idea che punire, e anche soltanto selezionare sulla base del merito, equivalga a discriminare è certo uno dei lasciti del lungo Sessantotto italiano.
Ma è anche la conseguenza di una trasformazione profonda della nostra cultura, in particolare della cultura di sinistra e in generale progressista. Una cultura che, soprattutto nella sua declinazione comunista, aveva a lungo alimentato invece l’idea che a scuola contassero autodisciplina, sforzo individuale, capacità di superare gli ostacoli e le difficoltà.
Si trattava di una cultura che aveva eletto a proprio modello Antonio Gramsci che, privato della libertà e in condizioni di salute difficilissime, si era applicato agli studi e alle riflessioni consegnate ai Quaderni del carcere.
È stata la sostituzione di quella cultura dell’impegno, della serietà e della disciplina con una che concepisce la scuola soprattutto o soltanto come luogo di inclusione sociale, in cui si devono (iper)proteggere i giovani, a far sì che pian piano ogni idea di sanzione sia diventata sostanzialmente illegittima.
Che anche la scuola spinga in questa direzione, e proprio in un Paese che soffre di uno scarso senso della legalità e del rispetto delle norme, rappresenta un problema non da poco.