Quest’ultimo scorcio del 2017 ricorda le settimane conclusive di un altro anno assai importante nella storia politica italiana: il 1993.
Come allora, si vive nell’attesa di elezioni che potrebbero essere di svolta nella storia del Paese. Come allora, ci si chiede se ci sarà un «federatore», se emergerà una qualche forza politica in grado di unire le tante anime, le molte Italie, che compongono la Penisola.
Nel 1993, l’antico federatore (la Democrazia Cristiana) che per un quarantennio e passa aveva tenuto insieme i territori economicamente e culturalmente eterogenei del Nord, del Centro e del Sud, era in via di disfacimento, al pari dei suoi antichi alleati di governo, a causa delle inchieste giudiziarie.
Privato del suo storico federatore il Paese era disorientato, in preda a potenti spinte centrifughe: con un Nord che sembrava ormai pronto a seguire le sirene del secessionismo leghista, un Centro controllato dai post- comunisti, un Sud allo sbando.
Poi arrivò Berlusconi e la sua clamorosa vittoria del 1994. Sembrava che si fosse riformato il federatore, capace di tenere insieme la Sicilia e la Lombardia, i più diversi territori e i più svariati gruppi sociali, professionali, generazionali. Più o meno quanto aveva fatto per decenni la Dc.
Senza bisogno di ripercorrere la complicata storia del berlusconismo possiamo solo osservare che a un certo punto, con l’usurarsi di quella esperienza e l’ascesa politica di Matteo Renzi, il «testimone» passò nelle mani di quest’ultimo.
Fu Renzi, da quel momento in poi, a tentare l’impresa: costruire una forza in grado di tenere unite per lungo tempo le molte Italie esistenti. La sconfitta nel referendum costituzionale dello scorso anno ha bloccato (non sappiamo se temporaneamente o definitivamente) il progetto.
L’indebolimento politico di Renzi e la (conseguente) rinascita politica di Berlusconi rendono ora più che mai aperta la partita. Uno dei due uscirà delle urne come nuovo federatore del Paese, con la capacità di bloccare le spinte centrifughe? Oppure il duello durerà a lungo, si protrarrà negli anni (magari anche passando per qualche breve periodo di alleanza tattica )?
Qualcuno potrebbe osservare che il duello non è solo fra due. C’è un terzo incomodo. Ci sono i 5Stelle. Non potrebbero essere loro i futuri federatori del Paese? Ne dubito assai. Se i 5Stelle avranno successo (e forse lo avranno), quel successo — stando ai sondaggi — si concentrerà in massima parte al Sud.
Ma in tal caso le spinte centrifughe non si placherebbero. Anzi, aumenterebbero di forza e di intensità. Non sembra plausibile che il Nord sia disposto a subire senza fiatare, ad esempio, quell’opera di distruzione di risorse produttive nota come «reddito di cittadinanza». Né a compromettere la ripresa economica in atto. L’instabilità politica aumenterebbe.
C’è stata un’epoca in cui molti avevano sperato che l’Italia potesse fare a meno di un federatore, ossia di una forza stabilmente al potere e in grado così di tenere insieme le tante ed eterogenee parti del Paese.
Perché quella presenza, per mezzo secolo, aveva sì bloccato le spinte centrifughe ma aveva anche fatto pagare a tutti noi un prezzo altissimo: ci aveva costretto dentro una democrazia senza alternanza, una democrazia in cui il federatore e i suoi alleati, non rischiando punizioni, potevano permettersi di mal governare (cosa che fecero, da un certo momento in poi, generando un grande debito pubblico).
L’eterogeneità e la diversità fra le varie parti del Paese non erano diminuite ma, per lo meno, era scomparso il partito antisistema (il partito comunista) la cui presenza, per decenni, aveva impedito l’alternanza al governo, bloccato il ricambio.
I tempi forse erano maturi per una democrazia dell’alternanza, nella quale le forze politiche si avvicendassero pacificamente al potere, una democrazia che potesse fare a meno di un unico e stabile federatore.
Quel progetto, dopo un ventennio e tanti sforzi, è fallito. Come nel gioco dell’oca siamo ritornati alla casella di partenza. La pacifica alternanza, quella che dovrebbe essere favorita da un assetto maggioritario (con una legge elettorale maggioritaria e una costituzione che dia forza al governo e efficacia alla sua azione) non fa per noi, o così pare.
Abbiamo bisogno, o così pare, di un assetto che, come quello prevalentemente proporzionale ora di nuovo vigente, non premi, anzi scoraggi, l’alternanza fra schieramenti contrapposti.
Ma ciò significa anche che per dare stabilità al Paese, ci serve ancora un federatore, una forza che si collochi stabilmente al centro del sistema, e abbia la capacità di far convivere il diavolo e l’acqua santa, quelli che vivono di mercato e quelli che vivono di spesa pubblica, le forze produttive e quelle improduttive, il profitto e la rendita, quelli che scelgono la modernità capitalista e quelli che la detestano.
È difficile, naturalmente, che l’eventuale federatore, in queste condizioni, sia anche capace di una sintesi politica efficace. La Dc ci riuscì nella prima fase del suo lungo impero (ma erano i tempi eroici della ricostruzione) . In seguito, la capacità di sintesi si perse per strada con conseguenze sempre più negative.
Esclusa e messa fuori gioco l’ipotesi della democrazia dell’alternanza, la scelta è di nuovo fra la ricostituzione di un federatore e l’instabilità cronica, la prevalenza di spinte centrifughe. Sapremo fra breve se questo sia ancora, oppure no, il tempo dei federatori. [spacer height=”20px”]
Angelo Panebianco, Il Corriere della sera 28 novembre 2017