Proprio in questi giorni pare sia stato definito un accordo europeo sulle dotazioni di capitale delle banche, ritenute sufficienti per metterle «al sicuro» da possibili nuove crisi, stile 2007/2008.
C’è stata molta polemica tra le autorità bancarie italiane e i fautori delle prime bozze pensate a Francoforte.
La posizione italiana è che rendendo troppo stringenti i parametri si rende più difficile prestare quattrini. Il non detto, ma fatto filtrare, è che le nuove regole sono modellate sulla situazione tedesca e nordica, dove il problema è rappresentato più che dai prestiti incagliati (che bruciano molto capitale) dai derivati presenti in bilancio, e non del tutto trasparenti.
C’è venuto alla mente un passaggio di un grande banchiere, per di più liberale, Luigi Einaudi che in La difficile arte del banchiere (Laterza) scriveva: «Il rapporto tra capitale e depositi è uno solo dei fattori di sicurezza della banca. A parità di altre condizioni, se due banche hanno ambedue 10 milioni di depositi sembra più sicura quella che possiede 5 milioni di capitali propri di quella che ne possiede soltanto uno. Il guaio è che le altre condizioni possono essere tali e tante che la cifra aritmetica del capitale finisce di perdere ogni importanza».
Einaudi, insomma, non ragiona da contabile. Anche se le sue considerazioni contengono sempre numeri e sono lineari. Ma sa che la realtà non può essere imbrigliata in un numeretto.
E continua efficacemente. «È difficile che una banca fallisca perché aveva un capitale troppo scarso in confronto ai depositi; mentre il fallimento è dovuto di solito al fatto che i dirigenti hanno amministrato male il capitale piccolo ed i depositi grossi; ed avrebbero ugualmente amministrato male il capitale grosso e i depositi scarsi.
La vera garanzia dei depositi non sta nell’esistenza di un notevole capitale; poiché il capitale può essere stato ingoiato da male speculazioni e da cattivi affari, così come furono ingoiati depositi. Ma sta nell’esistenza di attività sicure, di buoni valori di impiego contro i depositi e contro capitale; ed è tale garanzia codesta che dipende dalla capacità e dall’onestà degli amministratori, né può essere creata da empirici rapporti aritmetici fra capitali depositi».
Così scriveva più di cinquant’anni fa un grande banchiere e un liberale, a cui oggi converrebbe ispirarsi quando, con ragione, si critica la Bce. Non è l’Italietta degli affari e dei campanili che contesta Francoforte, o dei populismi come si dice oggi, ma quella degli scienziati delle finanze e dei banchieri italiani, che insegnarono l’economia al mondo. [spacer height=”20px”]
Nicola Porro, Il Giornale 10 dicembre 2017