È probabile che gli storici futuri ricorderanno il 21 gennaio 2018 inizio della fine del socialismo tedesco. Salvo clamorose smentite da parte del referendum che sarà sottoposto ai militanti nei prossimi giorni, la Spd con il voto di ieri si appresta a ritornare al governo con Angela Merkel nella GrandeCoalizione (in breve Groko). Ma per senso di responsabilità, la socialdemocrazia ha quasi firmato il suo suicidio politico.
Sia chiaro, il collasso l’avrebbe colpita ancor più, e più in fretta, nel caso il congresso avesse detto no: una decisione a cui sarebbe probabilmente seguita una scissione. La fine della Spd sarà ora solo più graduale, sull’onda di un suo declino storico già cominciato da tempo e di quello più generale del socialismo europeo.
I socialdemocratici ripropongono infatti la Grande Coalizione nel peggiore dei modi: hanno perso troppo tempo, si sono drammaticamente divisi quanto raramente era accaduto nella loro storia (ieri Schulz è Stato accolto freddamente. al contrario degli anti Groko), e hanno finito per accettare una programma in cui, dal punto di vista dell’elettore socialista, rientrano al governo solo per far un favore all’establishment e in seguito alle pressioni del presidente francese, che neppure appartiene alla sinistra (“Ieri mi ha telefonato Macron” ha confessato Schulz durante il suo discorso).
È certo che, visto il magro risultato (il sì ha vinto solo il 56%), Schulz alzerà la posta, ma è improbabile che Cdu e Csu possano soddisfarlo, sapendo che difficilmente egli potrà tornare indietro. Una posizione che scontenta sia i «responsabili», favorevoli a una decisione più lesta e meno sofferta, sia ovviamente gli anti Groko una platea ben più vasta della sola sinistra del partito.
Come dimostrano i sondaggi: dal voto di settembre la Spd ha perso tre punti percentuali, quasi quanto quelli acquisiti dall’Afd, la destra radicale che ora rappresenterà la principale opposizione nel parlamento. Anche se, come probabile, il governo dovesse durare solo fino al 2019, la Spd si troverà a fungere da portatore d’acqua della Cdu-Csu, perdendo ancora più consensi.
Potremmo persino assistere, in caso di crollo repentino dei voti socialisti, a una disgregazione, una disruption politica: una parte degli elettori Spd attratti verso una formazione alla Macron assieme a una quota di democristiani (se la Cdu dovesse virare troppo a destra, dopo gli anni del centrismo merkeliano), e un’altra verso la sinistra radicale, la Linke.
Dubitiamo quindi che la Groko ripristinerà la stabilità tedesca. A tutto vantaggio di Macron, il vero vincitore della giornata di ieri: con una Grande Coalizione senz’anima, una Merkel sul viale del tramonto e poco amata in patria, la Francia si appresta nei prossimi mesi a fungere da vero motore della coppia.
Finché i francesi non cominceranno a stancarsi anche di Macron e i problemi delle finanze pubbliche di Parigi a riemergere. Anche per l’Italia non è una cattiva notizia quella che viene dal congresso di Bonn. Se nei prossimi mesi dovremo cercare di inserirci nel duo franco-tedesco con una nostra autonomia di proposte, sarà opportuno rafforzare il rapporto con l’anello per il momento politicamente debole del due: la Germania.
Per questo, nello scenario successivo al 4 marzo, la nascita di una sia pure claudicante Grande Coalizione tedesca fungerà da esempio. Mentre un suo fallimento, nel paese che ha inventato la formula, avrebbe messo fuori gioco quest’ipotesi, il suo successo favorisce in linea teorica anche da noi un governo di forze appartenenti a famiglie politiche europee diverse, nel caso di stallo post-elettorale.
Sapendo però che, come in Germania, anche in Italia, a dilapidare maggiori consensi in caso di larghe intese sarebbe probabilmente il partito più a sinistra dell’anomala coalizione. Dalla teoria alla prassi, quindi, ci sarà nel caso una intera catena montuosa da superare.
Marco Gervasoni, Il Messaggero 22 gennaio 2018