Un’ondata neo-oscurantista rischia di travolgere il buon senso e la cultura, agitando lo stendardo del Bene e del Giusto. Si affaccia l’ipotesi di non far uscire A Rainy Day in New York di Woody Allen per via dell’accusa rivolta al regista, che peraltro un tribunale americano ha già giudicato infondata, di aver violentato la figlia minorenne Dylan Farrow.
Il lato più brutto di questa ipotesi è che si possa ritenerla verosimile: cioè il mondo sta veramente discutendo se sia il caso di far uscire un film di Woody Allen, non è una fake news, è davvero la spia di un clima tremendo di censura e di intimidazione.
Dovrebbe essere normale stabilire che un conto sono le opere dell’arte, della letteratura e del cinema, e un altro sono le eventuali (eventuali, meglio ripetere) malefatte commesse da chi ne è artefice. Invece non lo è più e si parla tranquillamente di cancellare l’arte per colpire retroattivamente l’artista.
Non è uno scherzo: nei mesi scorsi un nutrito gruppo di dimostranti ha protestato rumorosamente all’inaugurazione della retrospettiva dedicata a Roman Polanski dalla Cinémathèque Française.
Ovvero: secondo i manifestanti nessuno potrà più vedere capolavori come Cul de sac o Il pianista perché il regista è colpevole di uno stupro. Non si chiede di punire un colpevole, ma di annichilire i suoi film. E si considera questa richiesta legittima e ragionevole: ecco gli effetti dell’ondata neo-oscurantista.
A quando la rivalutazione del rogo con cui i censori dell’epoca vollero annientare Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci? Le motivazioni cambierebbero, sarebbero più «progressiste», ma non cambierebbe il finale: la censura.
E del resto nelle università americane serpeggia la tentazione, qualche volta addirittura soddisfatta da comitati adibiti al rogo simbolico delle opere incriminate, di mettere al bando il Tito Andronico di William Shakespeare e le Metamorfosi di Ovidio perché conterrebbero situazioni di violenza sessuale che potrebbero «offendere» la sensibilità di studenti e studentesse che hanno subito molestie.
I più zelanti non hanno risparmiato il linciaggio postumo del Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald perché sarebbe un romanzo saturo di cattive azioni. Nel North Carolina è partito l’appello per togliere dalle librerie ogni traccia di Lolita di Vladimir Nabokov, a tutela dei minori naturalmente. E le case editrici si sono affrettate a depurare i testi di Mark Twain perché contenevano la parola «negro».
Dovrebbe essere l’articolo uno di una visione liberale che considera la libera espressione della cultura la proibizione di modificare a proprio piacimento testi e immagini di opere che vanno tutelate nella loro integrità.
E invece è passata come una stravagante bizzarria, e non come il sintomo di una torva mentalità oscurantista e censoria, la decisione del Maggio Musicale Fiorentino, appoggiata sventuratamente dal sindaco di Firenze Dario Nardella, di manomettere il finale della Carmen di Georges Bizet per non favorire gli impulsi femminicidi del pubblico. E già si sentono i primi mormorii censori all’indirizzo della serie tv Gomorra , perché veicolerebbe cattivi messaggi.
Qualcuno si è portato avanti. A Londra hanno censurato alcuni nudi femminili di Egon Schiele, l’artista che era già stato condannato a Vienna, un secolo prima, per oscenità. Anche in questo caso è cambiata la motivazione (ora si parla in difesa della dignità delle donne), ma non cambia la persecuzione nei confronti di un’opera d’arte che si vorrebbe far sparire.
Un comitato di intellettuali (gli intellettuali sono sempre in prima fila quando si invoca la censura delle opere altrui, come è dimostrato dagli stuoli di scrittori, artisti, pensatori attratti dai roghi di Hitler e di Stalin) ha chiesto che venisse nascosto in cantina un dipinto di Balthus perché titillava pericolosi impulsi pedofili.
In Francia, sull’onda delle proteste che hanno costretto l’editore Gallimard a ritirare il suo progetto di pubblicare i testi antisemiti di Louis-Ferdinand Céline, tra cui Bagatelle per un massacro , si è arrivati ad invocare persino il ritiro del commercio di un capolavoro della letteratura come Viaggio al termine della notte .
Stabilire una connessione tra comportamenti considerati disdicevoli di un artista e le sue opere, per poi chiedere censura e bavaglio, è uno dei sintomi dell’ondata neo-oscurantista che ci sta sommergendo.
Recentemente un giornalista del «Washington Post», consultando note e diari che lo stesso Woody Allen aveva messo a disposizione dei ricercatori, ha stabilito che il regista di Manhattan è colpevole di qualcosa che assomiglia allo «psicoreato» delle distopie novecentesche: il desiderio, l’attrazione per le donne molto più giovani.
Cancellare l’opera omnia di Woody Allen potrebbe saziare la smania censoria degli inquisitori? Forse no, potrebbero utilmente mettere fuori legge le opere di Pablo Picasso, che le donne non è che le trattasse bene, o di Pier Paolo Pasolini con i suoi diseducativi «ragazzi di vita». Speriamo di no, ma con questo clima oscurantista, mai dire mai.[spacer height=”20px”]
Pierluigi Battista, Il Corriere della Sera 21 gennaio 2018