La sconfitta di Matteo Renzi e la non-vittoria di Silvio Berlusconi sono spiegate, almeno in parte, dai loro errori. Una volta espressa la riprovazione per coloro (ne abbiamo visti tanti all’opera in questi giorni) che amano tirare il calcio dell’asino agli sconfitti o che si spettinano mentre corrono trafelati in soccorso dei vincitori, può essere utile riflettere sugli errori di Renzi e di Berlusconi per capire meglio dove siamo e dove stiamo andando.
O, se preferite, per capire perché il «centro» del sistema politico (quello da cui dipende, ad ogni latitudine, la stabilità di una democrazia) si sia improvvisamente svuotato.
Il principale errore di Matteo Renzi — lo scrivemmo già in tempi non sospetti, prima del referendum costituzionale — fu di rompere il patto del Nazareno (forse non nella forma ma nella sostanza di sicuro), fu quello di convincere Berlusconi che stava lavorando gratis, che stava facendo il donatore di sangue, il portatore d’acqua a favore del governo Renzi senza ricevere nulla in cambio.
Gettando Berlusconi fra le braccia dei suoi nemici Renzi creò le condizioni per la sconfitta dei «sì» — un vero e proprio cappotto — nel referendum costituzionale dello scorso anno. Quella sconfitta è la principale causa della débâcle elettorale toccata in sorte al Partito democratico un anno dopo.
L’errore di Renzi ebbe l’effetto di spingere anche Berlusconi sulla strada sbagliata, sulla strada che conduce alla sconfitta
Berlusconi, infatti, rispose allo «sgarbo» di Renzi, all’affondamento del patto del Nazareno, in un modo che più acritico non avrebbe potuto essere.
Si schierò con i nemici di Renzi nella campagna referendaria senza chiedersi se ci fosse o no qualcosa di sbagliato nel fatto di ritrovarsi in compagnia dei più feroci antiberlusconiani di sempre: dai giuristi iper-conservatori ai 5 Stelle, dai nostalgici del comunismo a Magistratura democratica e a tutto il resto della magistratura militante, dalla Cgil ai cattolici di sinistra, e compagnia cantante.
Né si chiese come fosse possibile che dopo avere denunciato per anni gli eccessivi lacci e lacciuoli costituzionali che, a sentir lui, gli avevano impedito di realizzare i propri programmi elettorali, si trovasse a difendere i peggiori fra quei lacci e lacciuoli: dal bicameralismo paritetico al Titolo Quinto (i rapporti fra governo centrale e periferie pessimamente riformati dal centrosinistra nel 2001).
A quell’errore — a causa del quale chissà quante generazioni passeranno prima che sia di nuovo possibile tentare di cambiare la «costituzione più bella del mondo» — Berlusconi ne aggiunse un altro, altrettanto grave: si convinse che a lui conveniva un sistema elettorale proporzionale.
Anche se la vittoria dei «no» nel referendum aveva spianato la strada ai movimenti di protesta che quel «no» avevano entusiasticamente cavalcato, sarebbe stato forse ancora possibile rimediare: con un accordo in extremis fra Renzi e Berlusconi a favore di un sistema elettorale maggioritario.
Ma, si dice, il maggioritario non avrebbe funzionato perché il sistema politico era ormai «tripolare». Non ci credo affatto: un maggioritario avrebbe probabilmente ridimensionato sia i 5 Stelle che la Lega.
I sistemi maggioritari tendono a premiare i partiti centristi e a punire le estreme. Berlusconi non capì che un sistema prevalentemente proporzionale avrebbe ridimensionato la sua forza. Come è accaduto anche all’altro partito centrista, quello di Renzi.
Ora c’è ben poco da fare. Una volta che le estreme si siano elettoralmente gonfiate, strappando voti ai partiti più centristi, si manifesta subito la maledizione che incombe su questi ultimi: essi vengono lacerati, squassati, dalla divisione fra coloro che vorrebbero abbracciare il partito estremista (a volte nell’illusione di potersi riprendere i voti che gli hanno ceduto) e quelli che non ne vogliono sapere.
Il Pd è ora in queste condizioni. Forza Italia sembra in una diversa situazione per il peso che continua a esercitare l’anziano leader e perché essa è formalmente alleata della Lega. Ma anche lì, sotto la superficie, si intravvedono le divisioni: fra quelli che difendono una vecchia identità e quelli che vorrebbero solo essere ammessi alla corte di Salvini.
Lo svuotamento del centro politico, naturalmente, ha anche una causa che con gli errori di Renzi e di Berlusconi ha poco a che fare. È quel malessere proprio di tante democrazie occidentali che spinge oggi molti elettori a premiare movimenti di pura protesta, movimenti antisistema.
La colpa di Renzi e di Berlusconi è stata quella di non avere agito nel modo più assennato, quando ne avevano l’opportunità, per riformare le regole del gioco in modo da contenere, da tenere a bada, le spinte antisistema.
Sento dire che adesso occorre un governo che faccia la riforma elettorale. Consiglierei di non illudersi. Non si troveranno facilmente in Parlamento i numeri per una tale riforma. 5 Stelle e Lega sono stati premiati dal sistema elettorale ora vigente.
Sarebbero sciocchi se accettassero di cambiarlo. Squadra vincente non si cambia. Né si cambiano le regole del gioco che ci hanno fatto vincere.
È ovvio che, quale che sia il provvisorio pasticcio parlamentare che consentirà (se lo consentirà) di mettere in piedi uno straccio di governo, si tornerà presto a votare. Quasi certamente si voterà di nuovo con l’attuale legge elettorale.
Si può solo sperare che qualche elettore rinsavisca, che si renda conto che svuotare il centro di una democrazia sia il modo più sicuro per favorirne il declino.
Angelo Panebianco, “Il Corriere della Sera” 13 marzo 2018.