Lega e Movimento 5 Stelle hanno dunque concluso il contratto di governo. Uno dei punti più controversi è stato, e temiamo sarà ancora, quello che riguarda la giustizia, e soprattutto la giustizia penale. Perché mentre la giustizia civile riflette essenzialmente conflitti di interessi economici o familiari, sui quali le convergenze sono più facili, quella penale esprime una vera e propria filosofia politica. E su questa le parti erano, fino a ieri, profondamente divise: lo erano per la loro storia “genetica”, per i loro modelli anche personali di riferimento, e soprattutto, almeno la Lega, per contiguità e alleanze.
Il partito di Salvini non perde infatti occasione di ribadire la fedeltà alla coalizione di centrodestra, che peraltro lo legittima come forza preminente di un raggruppamento con la maggioranza relativa dei voti e dei seggi. Ma il centrodestra ha, altrettanto geneticamente, una visione giudiziaria liberale e garantista, che Salvini non può, smentire e nemmeno affievolire, pena lo sgretolamento della già vacillante impalcatura.
Alcuni punti del contratto, quelli più generici, sono ovviamente condivisibili da tutti, e ripetono i programmi dei governi precedenti: processi più rapidi, risorse meglio distribuite, efficienza manageriale eccetera. Si tratterà semmai di vedere come, e con quali risorse, saranno (sarebbero) attuati.
Altri sono particolarmente care alla Lega, e su uno pare che i pentastellati abbiano, almeno in parte, ceduto. Alludiamo alla legittima difesa, che effettivamente, come abbiamo qui scritto più volte, riflette l’ideologia di un codice mussoliniano che costringe la vittima di un’aggressione, dopo essersi difesa in casa, a difendersi anche in tribunale. Incidentalmente tuttavia notiamo che l’attuale disciplina è stata rimodulata più di dieci anni fa dal leghista Ministro Castelli, e che non ha sortito effetto alcuno. Questo perché la sola modifica dell’articolo su questa “esimente” e del tutto inutile, se non si cambia l’intero sistema delle “cause di giustificazione” in cui è inserito. Ma questo e un problema tecnico che speriamo sia stato rappresentato al tavolo di lavoro.
Restano invece gli altri punti di compromesso, sulle quali emergeranno difficoltà. Non potendo elencarli tutti, ci limitiamo ai più significativi.
La certezza della pena: giustissimo, purché non sia a scapito del principio costituzionale della sua funzione rieducativa. Chiudere irrevocabilmente le porte della galera senza possibilità di trattamenti premiali significa non solo umiliare il condannato ma altresì favorire il suo comportamento antisociale e le rivolte carcerarie.
L’aggravamento delle pene: inutile e irrazionale. Le nostre pene sono già esageratamente alte, mentre l’esperienza e la statistica ci dimostrano che ai loro aumenti non corrispondono affatto le diminuzioni dei reati: l’omicidio stradale è l’ultimo di questi prevedibili fallimenti.
Le intercettazioni: abbiamo già detto che, per quanto utili e talvolta necessarie costituiscono un pericolo mortale per la libertà e la dignità individuali, oltre ad essere uno strumento odioso e improprio di estromissione politica.
La prescrizione: aumentare i termini significa vulnerare il principio costituzionale della ragionevole durata del processo e scaricare sull’imputato, magari innocente, le inefficienze del sistema.
La corruzione: la Lega ha più volte condiviso l’analisi che essa è figlia della nostra sconclusionata proliferazione normativa, e che la terapia può consistere solo in una massiccia e radicale riduzione delle leggi e nella semplificazione delle procedure. Sarebbe un peccato se avesse cambiato idea.
Concludo. Queste antiche differenze sembrano ora conciliate, come lo sono la flat tax con il reddito di cittadinanza, dove, peraltro, si tratta di confidare su una possibile maggiorazione di entrate e sulla benevolenza dell’Europa. Ma per la giustizia è diverso. Cedendo al programma grillino, buona parte dell’elettorato leghista storcerà il naso, e comunque la coalizione di centrodestra rischia il collasso. D’altro canto, assecondando le esigenze di Salvini, Di Maio rischia di trovare, nel settore più giustizialista e forse maggioritario, del suo elettorato, resistenze formidabili. Possiamo già immaginare i richiami alla Legge del Far West se il principio dell’autotutela in casa propria sarà pienamente applicato.
Ora la parola passa agli attivisti dei due schieramenti, e sarà interessante vederne le reazioni. Il rischio è che la Giustizia, dopo aver per venticinque anni condizionato la nostra politica, diventi ora causa di una lunga paralisi o di una crisi fatale.
Carlo Nordio, Il Messaggero 17 maggio 2018