Amato o detestato, nessuno può rimanergli indifferente. Parliamo del portoghese Josè Mourinho, che fin dalla conferenza stampa di presentazione come allenatore delll’ Inter, ad un giornalista che aveva fatto una domanda furbastra rispose con un memorabile «ma io non sono un pirla».
Ecco, questa frase sembri diventata il motto dei governo portoghese di sinistra che ha vinto le elezioni nell’ottobre del 2015. frutto dell’alleanza tra i socialisti del premier Costa e due pariti di estrema sinistra che rappresentavano ben il 18,5% dei voti. Il Paese era in un periodo di flebile ripresa dopo aver applicato le ricette europee e del Fondo Monetario Intemazionale resesi necessarie per rimediare a conti pubblici fuori controllo e ad un sistema bancario pericolosamente fragile. Nel 2013 la recessione aveva raggiunto livelli devastanti e dal Paese lusitano, che ha poco più di 10 milioni di abitanti, erano emigrati in ben 500.000 in soli pochi anni.
Il centrodestra aveva perso per un’austerità percepita come eccessiva che aveva comportato blocco dei salari pubblici, allungamento età pensionabile, un modesto inasprimento fiscale, taglio della spesa pubblica e così via. I mercati erano preoccupati che l’ingresso dei due partiti di ultrasinistra al governo con i socialisti, che solo qualclie anno prima col premier Socrates si erano comportati da spendaccioni, avrebbe minato la stabilità finanziaria.
Dopo 3 anni, però, il deficit pubblico per il 2018, tenuto sotto controllo sia nel 2016 che nel 2017, si avvia a scendere allo 0,7% del Pil, la crescita è sul 2,5% annuo, il debito pubblico è diminuito nel 2017 di 4,3 punti rispetto al Pil ed oggi è circa al 124%. La disoccupazione è addirittura passata dall’11,1% del 2016 all’attuale 7,9%. Per il 2018-2019 tutti questi indici continueranno ad essere positivi, tanto che già quest’anno il deficit si restringerà allo 0,2 e il rapporto debito/Pil calerà di altri 3 punti.
Per un breve periodo si era diffusa la leggenda metropolitana che la ripresa lusitana fosse dovuta a delle misure di espansione «keynesiana» in barba al rigore di bilancio. Niente affatto: rivendica il rigore nei conti lo stesso ministro delle Finanze portoghese, Mario Centeno. In un paper scritto a 4 mani con il suo capo economista per Vox, una rivista online di un centro studi, il ministro ricorda che la competitività portoghese è il frutto di prudenza di bilancio e riforme.
La spesa pubblica è passata dal 48,3% sul Pil del 2015 ad una previsione del 44,5% per il 2018, mantenendo le entrate invariate (in sostanza niente aumenti di tasse). Come si afferma nell’articolo, il governo si basa su una «prudente, rigorosa gestione delle finanze pubbliche» anche attraverso meccanismi strutturali di spending review che ottimizzi l’efficienza della spesa (suonerebbe familiare). Ma i progressi sono stati frutto anche dei provvedimenti presi dai governi precedenti che oltre ad iniziare l’austerity hanno reso più flessibile il mercato dei lavoro (contratti a termine, orari elastici, malleabilità salariale, licenziamenti) e posto una grande enfasi al miglioramento del capitale umano portoghese. In pochi anni la percentuale dei laureati è aumentata sostanzialmente e la qualità degli studenti pure. Mentre ai test Pisa negli anni passati i risultati degli scolari lusitani erano ben sotto la media Ocse (l’organizzazione dei paesi sviluppati), ora sono al di sopra in tutte le materie, matematica, scienze, lettura.
Avendo saputo sfruttare al meglio i fondi europei, pure gli investimenti, pubblici e privati, sono cresciuti al di sopra della media Ue e si sono concentrati su infrastrutture, sanità, ricerca e sviluppo, innovazione, educazione.
Gli investimenti privati sono indirizzati verso i settori più esposti alla competizione internazionale, migliorandone l’efficienza e aiutando un forte aumento dell’export, senza bisogno di agire sul cambio e con robuste iniezioni di liberalizzazioni e deregolamentazionc del mercato di energia, telecomunicazioni. trasporti, poste e professioni, avendo altresì perfezionato la normativa antitrust (sotto questo profilo, alto è il rammarico per le resistenze corporative italiane alla nostra legge sulla concorrenza).
Basta così. Contro ogni illusione di uscire dalla crisi stampando moneta, elevando barriere protezionistiche, facendo più debito, irrigidendo il mercato del lavoro, il piccolo Portogallo ci dà una facile lezione: senza rigore e riforme, zero tituli!
Alessandro De Nicola, La Stampa 19 giugno 2018