“Egoisti” e “razzisti”: l’hanno trasformata in una lotta tra Dio e il diavolo

“Egoisti” e “razzisti”: l’hanno trasformata in una lotta tra Dio e il diavolo

Dino Cofrancesco riflette sui riflessi nella politica europea e dei singoli stati del fenomeno migratorio. Dal Dubbio del 19 giugno 2018

“C’è qualcosa di nuovo, anzi di antico” nel linguaggio politico del nostro tempo – sia dei professionisti del potere sia dei giornalisti e degli intellettuali opinion ma­ker – ed è il ritorno di uno stile comunicativo, caratteristico so­prattutto degli stati totalitari o teocratici, che abbaile i confini tra dimensioni dell’umano, che Benedetto Croce teneva distinte: il bello, il vero, l’utile e il buo­no.

Criminali o egoisti?

Tra le distinzioni che stanno sal­tando la più preoccupante è quella tra il criminale e l’egoi­sta. Si riteneva in passato che il criminale fosse colpevole di un reato punito dai codici e che l’egoista peccasse contro la mo­rale e, se credente, contro Dio. Nessuno allora avrebbe portato in tribunale Ebenezer Scrooge, il protagonista del Racconto di Natale di Charles Dickens, ma quanti non avevano il suo cuore di pietra lo evitavano con cura, almeno prima della conversio­ne. Col buonismo imperante, questo non sarebbe più possibi­le. Se ti rifiuti di soccorrere chi soffre la fame e il freddo, devi venir messo al bando dalla ‘società civile’ e tanto meglio se si riesce a trovare una norma giuri­dica per farti riflettere al fresco sulla tua malvagità. Si allonta­nano i secoli in cui un Bernard de Mandeville poteva tessere l’elogio dell’egoismo, appellan­dosi al principio che se ciascu­no pensasse al suo tornaconto, finiremmo per ritrovarci tutti più ricchi. Oggi se il medico-fi­losofo olandese, autore della Fa­vola delle Api (1714), su licenza del Signore degli Abissi, tornas­se sulla terra – come il don Gio­vanni dell’Occhio del diavolo di Ingmar Berman (1960) – tro­verebbe ad attenderlo don Lorenzo Milani, anche lui disceso sulla terra, questa volta per de­creto dell’Altissimo, col compi­to di ricacciarlo tra le tenebre.

Intendiamoci, neppure a me piacciono gli egoisti ma mi ter­rorizza il pensiero che vengano trasformati in delinquenti co­muni e che la perdila di stima e considerazione sociale alla qua­le vanno (giustamente) incontro debba scatenare nuove guerre civili.

Eppure è quanto si sta verifican­do nei nostri anni con la con­danna solenne degli stati che chiudono le frontiere ai dannati della Terra, in cerca non di be­nessere ma di sicurezza. Non ci si chiede se chi prende una de­cisione senz’altro crudele, sia autorizzato legalmente a pren­derla ma si passa subito alla de­nuncia accorata, alla gogna mediatica, con aggettivi forti (’vo­mitevole’) che non solo squalifi­cano moralmente un governo ma lo delegittimano agli occhi dell’opinione pubblica europea e internazionale, chiamata a ‘prendere provvedimenti’ nelle sedi nazionali e sovranazionali adatte.

Col risultato sicuro di una eticizzazione della politica e del diritto che servirà solo – come nei ricordati regimi totali­tari e teocratici – a rimuovere i problemi reali, ad azzerare il confronto tra le diverse strategie sociali, a far ricadere sulle mele marce tutti i disagi e le difficoltà legati all’incontro di ‘culture’ diverse, lontane e spesso con­flittuali. Con gli scellerati, infatti, non si dialoga ma li si sma­schera come agenti di Satana.

Razzismo, un termine abusato

Nella corruzione del linguaggio, un ruolo decisivo svolge ormai l’accusa di razzismo. Nella sua accezione forte e classica, il ter­mine rinvia alla superiorità dell’uomo bianco sulle altre raz­ze e al dovere di difendersene, ricorrendo anche allo sterminio, alla schiavitù o, nel miglior dei casi, all’apartheid. Definire raz­zista l’avversario politico, quin­di, significa non riconoscergli alcun diritto alla parola e alcuna dignità, farne l’erede dei co­struttori dei campi di sterminio nazisti. A chi fa osservare che di razzisti così nel nostro paese non se ne trovano – tranne qual­che Obelix leghista o qualche intellettuale postcomunista, co­me la scrittrice che definì Con­doleeza Rice una ‘scimmietta nera ammaestrata’ – si risponde storicisticamente che oggi i raz­zisti sono costretti ad ‘attenuare i toni ‘giacché, se parlassero co­me i lettori della ‘Difesa della Razza’, finirebbero a mal partito. In realtà, al fondo di tutto que­sto c’è una vasta operazione – soprattutto culturale – intesa a trasformare gli avversari in ne­mici.

Chi non è con me, è contro di me. I campi sportivi in cui due squadre avversarie giocano la loro pacifica partita per stabi­lire chi debba governare si trasformano in trincee che vedono due eserciti nemici affrontarsi l’un contro l’altro armati. Sarà anche vero, come si legge sul Foglio di venerdì scorso, che «il discrimine fondamentale della politica italiana (…) oggi corre tra europeisti e sovranisti, pro o contro la stralegia dell’in­tegrazione continentale; e destra e sinistra su ciascuno dei due versanti di questo spartiacque, costituiscono solo due declina­zioni di questa scelta fonda­mentale» ma se si presenta tale alternativa come la lotta tra Dio e il Diavolo, siamo al tramonto della politica ovvero alla fine della competizione civile che, in una democrazia reale, è sem­pre tra due (o più) progetti poli­tici alternativi che riflettono va­lori e interessi diversi e rispettabili… e paure non tutte prive di fondamento, come ci ha inse­gnato Luca Ricolfi.

Personalmente sono più dalla parte degli europeisti che dei ‘sovranisti’ ma perché dovrei ignorare quei pochi (o tanti) punti di forza che hanno portato i ‘barbari’ a «svuotare la politi­ca» e a dissanguare elettoral­mente i vecchi partiti?

Sono propenso a credere che non sa­ranno i gialloverdi ad alleviare i disagi delle vittime della globalizzazione e condivido senz’altro i dubbi sugli ‘avvocati del popolo’. Non mi si dica, però, che gli elettori italiani sono stati raggirati da una masnada di falsi guaritori: i guaritori saranno pu­re falsi ma non sono stati loro gli untori che hanno diffuso la pe­ste dell’antipolitica nel nostro paese: ad essa ha provveduto generosamente chi ci ha gover­nato finora.

Dino Cofrancesco, Il Dubbio 20 giugno 2018

 

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