Durante una trasmissione televisiva il filosofo e amico Massimo Cacciari ha evocato, davanti al silenzio dell’Occidente sulla strage dei migranti annegati, la banalità del male. È vero. In questi anni decine di migliaia di sventurati sono periti tra i flutti per naufragi e incidenti vari: molti sono stati addirittura gettati in acqua dagli scafisti. Di loro, si è parlato poco o nulla. Appunto, la banalità del male.
Mi permetto tuttavia di aggiungere che spesso questo fenomeno è assecondato e incoraggiato da un atteggiamento simmetrico: quello che potremmo definire la banalità del bene. Quando cioè, benché assistito dalle migliori intenzioni, il comportamento degli uomini, e degli Stati, produce catastrofi.
Possiamo fare due esempi distanti nello spazio e nel tempo.
1) La rinunciataria politica di “appeasement” delle potenze occidentali nella seconda metà degli anni Trenta determinò Hitler a scatenare il più grande massacro della storia. Se Francia e Gran Bretagna lo avessero fermato agli inizi, forse ci sarebbe stato qualche morto, ma l’Olocausto sarebbe stato scongiurato.
2) I sequestri di persona in Italia. Seguendo il lodevole ma funesto principio che la sopravvivenza dell’ostaggio è il primo risultato da perseguire, negli anni Settanta e Ottanta il governo di fatto alimentò questa piaga perniciosa. Si pagarono i riscatti, e aumentarono le soppressioni dei rapiti. Quando lo Stato dispose il blocco dei beni, i sequestri e i morti cessarono. Nulla combatte il crimine quanto la sua improduttività.
Ora arriva la notizia dell’Istat che in Italia cinque milioni di persone versano in povertà assoluta: e uno su tre, quindi più di un milione mezzo, è straniero. Con la differenza che mentre gli italiani possono spesso contare su qualche familiare, e magari su qualche risparmio accumulato, gli stranieri sono del tutto indifesi: e di conseguenza molti si dedicano a quelle attività illegali – spaccio, furti, prostituzione ecc. – che ne consentono la sopravvivenza. E in effetti sappiamo che i detenuti stranieri, e i crimini agli stessi addebitati, sono in linea con queste percentuali allarmanti. I cittadini, anche digiuni di statistiche, queste cose le hanno assimilate, e ne hanno tratto le conseguenze.
Ora l’Europa è stata scossa dalla rivolta di Visegrad, dalle difficoltà della Merkel e soprattutto dalla ferma posizione del governo italiano. Le risposte date sinora alle domande poste dalla logica dell’aritmetica (quanti ne verranno, quanti ne possiamo prendere, quanti vanno distribuiti) sono state ispirate a quella generica banalità del bene che ha determinato, di fatto, le migliaia di vittime in mare, l’arricchimento dei criminali assassini e le difficoltà quasi insormontabili che gli Stati si trovano ad affrontare: davanti alle quali quasi tutti, anzi proprio tutti hanno provveduto chiudendo le frontiere. Alla banalità del bene si è aggiunta quella dei rimedi.
Non sappiamo cosa ci riservino i prossimi consigli europei. Ma sulla base delle statistiche dell’Istat – e di quelle più dolorose dei morti – sappiamo che continuando così condanneremo i migranti a una povertà crescente, quando andrà bene, e a un aumento di vittime, quando andrà male. Convinti dalle organizzazioni di trafficanti di trovare in Europa una sorta di eldorado, questi illusi saranno esposti a una delusione irritata, e forse rabbiosa, che sarà un fertile terreno di reati. Questo esaspererà ancora di più i residenti, in una sorta di spirale perversa di cui già si stanno vedendo i risultati: guerre tra poveri, soprattutto nelle periferie degradate, anche tra appartenenti alle medesime etnie.
Concludo. Queste statistiche valgono più di tutte le belle o brutte parole sentite in questi giorni. Esse pongono l’Europa davanti a una responsabilità, per così dire, certificata. Se la risposta sarà la solita litania della banalità del bene, dobbiamo prepararci, questa volta in piena consapevolezza colpevole, all’inevitabilità del male.
Carlo Nordio, “Il Messagero” 28 giugno