Il ritratto e il ricordo del manager scomparso a firma di Davide Giacalone, opinionista e vicepresidente della Fondazione Luigi Einaudi
C’è un aspetto fatale, cui nessuno sfugge. La vita sa essere beffarda. Nel caso di Sergio Marchionne la cosa è presente a tutti: andarsene in quel mondo è irragionevole. Non conosciamo i particolari e non abbiamo competenze mediche, eppure vien voglia di dire che la sanità italiana merita maggiore rispetto. Specie da parte di chi la amministra.
Naturale che una persona di tale rilievo pubblico possa avere suscitato commenti diversi, una volta appresa la condizione disperata in cui si trovava. E che ora si conclude. Non sono fra quanti si scandalizzano per i rilievi insistentemente critici, né credo sia segno di particolare rispetto annacquare le proprie convinzioni davanti alla morte. Semmai il contrario. Interessa il perché Marchionne ha suscitato e suscita opinioni forti.
Prese un gruppo in viaggio verso la bancarotta e lo rimise al mondo della competizione. C’è riuscito lavorando sodo, ma commettendo due peccati capitali: a. si occupò dei lavoratori e non dei sindacati; b. si impegnò nell’impresa senza seguire (anzi) l’organizzazione degli imprenditori. Fu anticorporativo e anticonsociativo. Che il cielo lo abbia in gloria.
Gestì l’operazione guadagnando molti soldi. Se li è meritati e dispiace solo che non abbia potuto goderseli (o forse no, forse godette nel farli, il resto sarebbe stato un dopo che non c’è stato). Ciò lo rese antipatico a molti, per non dire a quasi tutti. Lo rende simpatico a noi.
Gli si è rimproverato di avere preso un gruppo che aveva goduto di non pochi favori e soldi pubblici e averlo portato via e fuori, pur restando produzioni in Italia. Trovo che sia un merito. Il guaio non è Fiat che diventa Fca, ma Alitalia che resta quello che fu ed è, a carico del contribuente. Il guaio è Ilva che viene privatizzata, massacrata e poi ripubblicizzata. Il guaio è Tim, con la peggiore privatizzazione della storia, salvo poi, a macerie accumulate, vedere la Cassa depositi e prestiti che rientra nell’azionariato. E si potrebbe continuare, purtroppo. Ecco, il guaio non è quello che Marchionne ha fatto di Fiat, ma quello che altri non hanno saputo fare di altri gruppi.
Muore un italiano che ha saputo vivere la globalizzazione, salvarci dei governi (mica solo quello italiano) e farci i soldi. Questo non esaurisce una storia che non è mai tutta in rosa, così come fatica a essere tutta in nero. Speriamo non esaurisca nemmeno la genia d’italiani che sanno combattere e detestano piagnucolare.
Davide Giacalone, 25 luglio 2018