Conti pubblici e bilanci banche: in maniera semplice e al tempo stesso esauriente, Carlo Cottarelli ne illustra il “delicato” legame
A metà maggio i titoli decennali italiani rendevano circa l’1,8%. Da metà giugno in poi hanno oscillato tra il 2,5 e il 3% (sono attualmente vicino a quest’ultimo livello). Insomma, le banche italiane saranno anche disposte a detenere una maggiore quantità di titoli di Stato, ma per farlo vogliono ricevere un tasso di interesse più elevato, come compensazione per il maggior rischio affrontato. Il secondo motivo è che, al crescere della quantità di titoli di Stato detenuti dalle banche italiane, il legame tra situazione dei conti pubblici e bilancio delle banche diventa più stretto.
Cosa significa? Significa che possibili futuri aumenti dei tassi sui titoli di Stato causati da un deterioramento dei conti pubblici avrebbero maggiori effetti negativi per le banche. Infatti, quando il tasso sui titoli di Stato sulle nuove emissioni aumenta il valore dei titoli di Stato già in circolazione scende. È una legge finanziaria: visto che il rendimento di un titolo di una certa scadenza residua (per esempio 10 anni) deve essere più o meno lo stesso indipendentemente dal fatto che il titolo sia stato appena emesso o che sia già in circolazione (gli investitori fanno in modo che questo avvenga con i loro acquisti e vendite), se i tassi di interesse all’emissione salgono i prezzi dei titoli già in circolazione scendono per garantirne lo stesso rendimento. Ma la discesa del prezzo dei titoli comporta per le banche una perdita in conto capitale. E tanto maggiore è la quantità di titoli di Stato detenuta dalle nostre banche, tanto maggiore sarà la perdita subita.
Non è finita qui: se le banche sono in difficoltà si presume che lo Stato debba intervenire in loro sostegno (la disciplina del bail in non è stata ancora ben assorbita a livello di opinione pubblica e politica…). Il che comporta che, se le banche hanno perdite, queste si potranno riversare sui conti pubblici: la situazione di questi peggiora ulteriormente, portando a un ulteriore aumento dei tassi di interesse. Insomma si avvia un circolo vizioso, un feedback loop, per dirla all’inglese, che ha caratterizzato molte crisi finanziarie in passato, compresa quella del 2011-12 in Italia. Questo feedback loop contribuisce a spiegare la forte correlazione negativa tra andamenti dei tassi di interesse sui titoli
di Stato e la quotazione delle azioni bancarie.
Ora, la graduale uscita nel corso degli ultimi anni di investitori esteri dall’Italia ha ulteriormente stretto il legame tra bilancio delle banche e bilancio dello Stato. Nel giugno del 2011 i titoli di Stato rappresentavano meno del 6% dell’attivo bancario; a giugno di quest’anno rappresentavano un po’ più del 10%. Dobbiamo quindi aspettarci che quel circolo vizioso cui ho appena fatto riferimento sia diventato ancora più pericoloso di quanto fosse nel 2011. Tutto questo comporta la necessità di evitare nel modo più assoluto un ulteriore aumento dello spread e dei tassi di interesse sui titoli di Stato, anche per i riflessi che questo avrebbe sulle nostre banche. Il che richiede una legge di bilancio per il 2019 che ponga le basi per una rapida discesa del rapporto tra debito pubblico e Pil.
In proposito, ricordiamoci che quello che determinerà l’aumento o meno dei tassi di interesse non sarà la maggiore o minore flessibilità che ci daranno gli «euroburocrati», ma sarà l’azione di migliaia di investitori nazionali ed esteri cui non interessano per nulla i pareri, spesso troppo politici, espressi dalle istituzioni europee. Lo tengano presente quelli che pensano che basti fare la voce grossa a Bruxelles per poter aumentare a piacere il deficit pubblico.
Carlo Cottarelli, “La Stampa” 23 agosto 2018