Dopo le elezioni locali tedesche molti a sinistra paiono alla ricerca dell’«antidoto verde», cioè vorrebbero agganciarsi al treno dei Grünen, il solo capace di «fermare i populisti», lamentando che solo da noi manchino forze ecologiste. Vorremmo rassicurarli: gli ecologisti ci sono, li abbiamo visti scatenati ieri a Torino. E stanno pure al governo. Solo che invece che essere l’antidoto, sono loro stessi i populisti. Stiamo ovviamente parlando dei 5 Stelle.
Come, i grillini, dei verdi? Ci stupiamo che qualcuno si stupisca di questa affermazione. Se infatti guardiamo alla storia di questo movimento, ben prima che si costituisse con il nome di Movimento 5 Stelle, per Beppe Grillo e per Gianroberto Casaleggio l’ecologismo non era uno dei temi: era il tema. A cui si è aggiunto presto, ma comunque secondo in ordine di tempo, il giustizialismo. E se nella loro non lunga vita i grillini hanno cambiato idea su molte questioni, la barra ecologista è sempre stata tenuta – per così dire – ben dritta. Ed è quella che spiega la loro cultura dei no e la tentazione della «decrescita felice».
Il no al Tap, quello più antico alla Tav, l’opposizione di principio alle nuove infrastrutture e quella ai giochi olimpici, nasce sì in parte dalla convinzione che esse diano luogo a ruberie e a corruzione. Ma lo stimolo primo e mobilitante, che spinge la loro opposizione ai lavori pubblici, risiede proprio nel voler mantenere intatto l’equilibrio ambientale e «naturale». Si dirà che i 5 stelle sono eredi dei verdi italici, figli di un dio minore, ideologizzati e integralisti, laddove quelli tedeschi e nord europei sarebbero pragmatici e maturi. Ma non è esattamente così. È vero che i nostri verdi, peraltro sempre molto rossi, quelle rare volte che hanno ricoperto incarichi in dicasteri, con l’Ulivo e l’Unione, hanno brillato soprattutto per i niet che infliggevano ai già inguaiati presidenti del Consiglio di quelle caotiche compagini. Ma, si passi la freddura, in questo caso l’erba del vicino non è esattamente la più verde.
In tutti i Paesi europei in cui hanno un peso elettorale (in realtà solo quelli del nord Europa) i Verdi sono infatti tradizionalmente più forza di opposizione che di governo. Dagli anni Settanta a oggi in Germania sono stati al potere centrale solo negli anni della Spd di Gerhard Schröder e hanno lasciato poco il segno: si ricordano infatti più che altro per il ministro degli Esteri, Joschka Fischer, un interventista fautore della «guerra democratica», peraltro inviso agli stessi verdi, ultrapacifisti. Come se nella cultura ambientalista vi sia un problema ad accettare gli obblighi, i doveri e le necessità imposte dalla produzione moderna.
Nati sulla spinta dei bisogni «post materialistici» come li aveva chiamati il sociologo statunitense Ronald Inglehart, gli ecologisti, tanto i pragmatici che gli integralisti alla 5 Stelle, sembrano spesso pensare che l’obiettivo della società contemporanea consista nel redistribuire le risorse: e non nel produrle. Invece se la politica comprime, attraverso l’aumento della leva fiscale e l’assenza di investimenti, l’universo della produzione e dei produttori, nulla ci sarà da distribuire e vi sarà solo decrescita, temiamo non tanto felice.
Siccome tutto si tiene, non ci sorprende che l’ecologismo dei 5 Stelle conduca a una visione del mondo centrata sul reddito di cittadinanza, che essi hanno voluto come pietra angolare della manovra economica, anche a costo di deprimere le spese per gli investimenti e il taglio delle tasse. C’è però una speranza, ancorché flebile. Laddove hanno governato, gli ambientalisti sono sempre stati costretti, peraltro piuttosto presto, a diventare ragionevoli: e non a caso lo sono abbastanza i Grünen, dei Verdi europei quelli con la maggior esperienza.
Come si vede con la loro salutare marcia indietro sul Tap, l’auspicio è che anche i 5 Stelle si rendano conto, sulla Tav, e a dispetto della giunta Appendino, la più fanatica tra quelle grilline, che quest’opera arricchirebbe tutti, spingerebbe la produttività, e non necessariamente distruggerebbe l’ambiente, se si seguono le regole. Non resta che credere ai miracoli.
Marco Gervasoni, “Il Messaggero” 30 ottobre 2018