Salvini e la capacità di cogliere il kàiros

Salvini e la capacità di cogliere il kàiros

La politica è cambiata: nel modo di comunicarla e parteciparla, nel modo in cui si dà la selezione dei leader, nel non far più riferimento a ideologie forti ma ad un sano pragmatismo, in tante altre cose. Essa resta però legata, non solo al perseguimento di interessi concreti, come è ovvio che sia (altrimenti non sarebbe politica), ma anche ad una certa coerenza di fondo che gli attori politici devono di necessità mostrare. Non tanto fra il dire e il fare, quanto piuttosto fra i diversi obiettivi che si vogliono raggiungere con l’azione.

Il Movimento 5 Stelle, in nome di una generica lotta alla “casta”, ha invece in questi anni seguito l’idea di un partito trasversale, un patchwork di idee e uomini (fra l’altro con poca o nessuna esperienza politica) male amalgamato. Può durare in questo stato o, come sembra che stia avvenendo, il “principio di realtà”, o semplicemente la prova del governo, metterà presto esito, come è logico che sia, ad una di queste due opposte opzioni: la “normalizzazione” o l’implosione? Certo, la dissidenza interna di questi giorni è alimentata dalla cosiddetta ala movimentista, che, con la sua idea (confusa) di società e con i suoi luoghi comuni, è una diretta discendente del peggior sessantottismo italiano. La storia, d’altronde, non fa salti. Il timore è però che questa ala, messa finora a tacere da quella sorte di “centralismo democratico” che vige nel movimento, sia più forte di quanto si sia voluto credere, o far credere, e che non aspetti l’occasione per prendersi una rivincita. Se la posizione di Di Maio non è facile, se si svolgerà forse sempre più lungo questo crinale, quella di Salvini è altrettanto problematica.

Non c’è dubbio che la Lega sia oggi l’unico partito forte nello scenario italiano, così come probabilmente il centrodestra, cioè l’alleanza elettorale spazzata via dalle vicende successive al 4 marzo, sia oggi non solo maggioranza nel Paese ma anche in un ipotetico nuovo Parlamento. Ed è anche impressionante vedere come questo risultato politico Salvini lo abbia ottenuto in soli sei mesi: ha aumentato i consensi per sé e ha svuotato quasi del tutto l’altro perno, Forza Italia, della più naturale alleanza originaria. Il fatto è che la Lega, con la sua fermezza e la sua nettezza di idee, ha risposto a esigenze reali avvertite dagli italiani e per tanto tempo ignorate dagli altri partiti. E, per di più, Salvini, che ha fatto rinascere e rifondato su altre basi un partito morto, ha dietro di sé delle pattuglie compatte o quasi. Le quali però sono anche e ancora, in vasta parte, espressione di ceti variamente produttivi (l’ex elettorato berlusconiano) che potrebbero presto risentirsi dei troppi compromessi o dei diktat pentastellati.

Il grosso problema politico che si presenta a Salvini si condensa perciò in una domanda: il trend positivo continuerà ancora o almeno si assesterà? O, meglio ancora, quando i tempi saranno maturi per staccare la spina al governo senza pagare pegno con gli elettori (accusando casomai giustamente l’alleato odierno di aver impedito, con le sue divisioni interne e la sua confusione ideale, una più incisiva e concreta politica del governo?).

L’idea di Salvini è probabilmente quella di rimandare la fatidica decisione a dopo le elezioni europee, ma è pur vero che la situazione potrebbe precipitare prima. E, a quel punto, una decisione sarebbe improcrastinabile. Su di essa, sulla capacità di cogliere il kàiros, cioè il momento opportuno, si misurerà definitivamente nei prossimi mesi la statura politica di Salvini. Ma si misurerà anche la possibilità per l’Italia di maturare migliori e più efficaci equilibri politici.

Corrado Ocone, formiche.net 30 ottobre 2018

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