Questa che cunto è la storia di Pippo e Ciccio. Sperando che il buon senso non sia già andato in prescrizione.
Pippo e Ciccio vengono accusati di avere fatto un furto con scasso. Negano ogni addebito. Le indagini dovrebbero durare massimo 6 mesi (art. 405 del codice di procedura penale), ma la procura chiede la proroga (art. 406) e arriva al limite massimo: 18 mesi. A quel punto la legge 103/2017 ha introdotto un nuovo comma 3-bis all’art. 407, disponendo che: “il pubblico ministero è tenuto a esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all’art. 415-bis”. Perché prima passava un tempo indefinito. Ma anche dopo, però. I termini per la difesa si contano in giorni, quelli della procura in mesi. Senza che nulla succeda. I tempi dei tribunali si misurano in anni.
L’udienza preliminare è convocata 1 anno dopo la fine delle indagini e, in 1 altro anno di lavoro stabilisce che Pippo e Ciccio debbano andare a giudizio. Il processo è fissato 2 anni dopo e il processo dura 15 mesi. Non che sia stato lungo, perché si sono tenute solo quattro udienze, ma il tribunale aveva già l’agenda piena. Gli avvocati della difesa hanno prodotto tre testimoni e parlato per due ore. Così, a 7 anni dal fatto, si arriva alla sentenza: Pippo è condannato a 5 anni di reclusione, ai sensi degli artt. 624 bis e 625 del codice penale; Ciccio è assolto, per non aver commesso il fatto. Pippo è un ladro, secondo la sentenza di primo grado, mentre Ciccio neanche c’era. Ciccio è felice.
Il ricorso avverso la sentenza di primo grado si può presentare solo dopo il deposito delle motivazioni. Il codice dice che tali motivazioni vanno scritte assieme al dispositivo (la sentenza letta in aula, art. 544 codice di procedura penale), se la cosa è difficile, in via eccezionale, si può farlo entro 15 giorni. Se proprio è difficilissimo, comunque non oltre 90 giorni. Ma sono termini “ordinatori”, praticamente dei meri auspici. Qualche volta sono passati anni. Nel caso della sentenza di Ciccio e Pippo passano 11 mesi. Da quel momento decorrono i 45 giorni per presentare ricorso in appello. E qui c’è il colpo di scena: Ciccio, assolto, non presenta ricorso, ma lo presenta la procura; Pippo, condannato, non presenta ricorso e neanche lo presenta la procura, quindi, per lui, la sentenza diventa definitiva. Solo che, essendo passato un anno da quando è stata emessa, Pippo non si trova più.
Il processo d’appello a Ciccio è fissato per tre anni dopo e dura due anni. Due udienze all’anno. Alla fine Ciccio è condannato a 4 anni di reclusione. Le motivazioni arrivano un anno dopo e, a quel punto, Ciccio si rivolge alla Corte di cassazione. La discussione è fissata 3 anni dopo. Basta una sola seduta e la condanna viene confermata. A 15 anni dalle indagini Ciccio si avvia a scontare 4 anni di carcere. E Pippo?
Pippo era un dritto e si era accorto che cancellando la prescrizione del reato si erano dimenticati di cancellare la prescrizione della pena, prevista all’art.172 del codice penale: “La pena della reclusione si estingue col decorso di un tempo pari al doppio della pena inflitta e, in ogni caso, non superiore a trenta e non inferiore a dieci anni”. 5 della condanna, raddoppiati, fanno 10, sicché Pippo era andato a vivere dalla sorella, in Francia, tanto nessuno si sarebbe messo a inseguire un ladruncolo per il mondo e, decorsi i dieci anni, abbreviati dal non avere fatto ricorso, s’è presentato alla frontiera. Quando gli hanno detto: “c’è un mandato di cattura”, ha risposto: “controllate bene, è scaduto”. Pippo, condannato, è libero.
Ciccio, che fu assolto, ha scontato un anno di galera. Come si possa condannare “al di là di ogni ragionevole dubbio” (art. 533 codice di procedura penale) uno che era stato assolto rimane un mistero, fatto è che il suo avvocato non si dava pace e riuscì a ottenere in fretta (licenza poetica che mi prendo, quale autore, per farla breve) la revisione del processo. Ciccio fu riconosciuto innocente, come nella prima sentenza, perché neanche c’era. I giudici lo avevano confuso con Pippo, considerando ovvio che il condannato ricorresse avverso la condanna. Pippo, invece, era corso via. Non averlo fatto ha rovinato la vita a Ciccio. Il solo che si era accorto dell’assurdità era stato Carlo Nordio, ma nessuno gli aveva dato ascolto. Tranne Pippo. La giustizia, come vedete, però, trionfa.
DG, 10 novembre 2018