La decisione della magistratura e del governo brasiliani di consegnarci Cesare Battisti, condannato quarant’anni fa per omicidio e terrorismo, è senz’altro una buona notizia, peraltro mitigata dalla fuga del condannato e ancor di più dalla morte di Antonio Megalizzi, pure lui vittima del fanatismo. Anche se le vicende ci sembrano scollegate, ci inducono a tre considerazioni.
1. La prima, che viene ancora una volta confermato il paradosso della nostra giustizia, che tanto è facile entrare in galera prima del processo, da presunti innocenti, quanto è facile uscirne, o evitarla, quando si è colpevoli conclamati. I processi a Battisti sono stati lunghi e dolorosi. Alla fine, dopo la condanna, era già scappato. Anche l’assassino di Megalizzi aveva subito ventisette condanne, eppure era ancora fuori, in nome di non si sa quale garantismo, che spesso assorbe e sostituisce la certezza della pena. Mentre garantismo significa invece assicurare all’indagato tutte le prerogative della difesa, evitandogli, ove possibile, il carcere preventivo e l’incivile gogna sui giornali. E invece la certezza della pena significa semplicemente affermare la serietà dello Stato. Evidentemente non siamo né civili né seri.
2. La seconda è la straordinaria inversione dei ruoli cui abbiamo assistito, negli ultimi decenni, nell’atteggiamento della sinistra. Storicamente, essa stava dalla parte dei più deboli: e davanti al giudice l’imputato è sempre debole, anche se è ricco e potente. Anzi, quando è ricco e potente è ancora più intimidito, perché ha molto di più da perdere. I suicidi di Cagliari, di Gardini e di altri imputati eccellenti sono lì a confermarlo. Ed invece, con lo scoppio di tangentopoli, la sinistra – con le dovute eccezioni cui va reso onore – ha cavalcato la tigre del giustizialismo, nella beata speranza di eliminare per via giudiziaria gli avversari che non aveva saputo vincere sul terreno elettorale. Ora i ruoli si invertono ancora: per Cesare Battisti, assassino conclamato, si sono già alzate – ora sommesse ora impudenti – le note indulgenziali di veterosinistri che invocano una clemenza dovuta al decorso del tempo.
3. E qui arriviamo alla terza considerazione. Queste stesse voci, o almeno parte di esse, sono le medesime che invocano la sospensione della prescrizione (cioè l’estinzione del reato per decorso del tempo) dopo la sentenza di primo grado: provvedimento che, malgrado le universali proteste, il Parlamento si accinge a varare. Con tale sospensione, i processi dureranno in eterno, perché i difensori manterranno l’interesse ai rinvii dilatori, mentre i magistrati perderanno quello a una sollecita definizione. E, come abbiamo detto ripetutamente, le vittime del reato saranno le prime ad esser danneggiate. Ma quello che più sgomenta, e su cui il caso Battisti ci fa riflettere, è che il legislatore lascia intatta la disciplina della prescrizione della pena: che, detto in termini atecnici ma chiari, significa che se il condannato si sottrae alla sua esecuzione, cioè scappa, dopo qualche anno la pena si estingue, e lui può tornarsene tranquillo al suo Paese. Per Cesare Battisti questo non è possibile, perché il suo reato è così grave da essere imprescrittibile: ma per mille altri crimini, quasi altrettanto odiosi, come la violenza sessuale sui bambini o l’associazione mafiosa, la prescrizione della pena rimane. Con la conseguenza che al delinquente conviene farsi condannare, scappare, e aspettare il decorso del tempo, piuttosto che affrontare un giudizio che potrebbe spedirlo in galera anche dopo decenni dalla commissione del reato.
Concludo. Il fatto che l’assassino del povero Megalizzi fosse stato condannato ventisette volte da tribunali francesi, tedeschi e svizzeri, così come Battisti era stato salvato da altri Paesi per un malinteso senso di garantismo, non deve consolarci. È vero: se Atene piange, Sparta non ride. Ma la realtà è più amara: la Giustizia, che vien rappresentata con la benda, la bilancia e la spada, per esprimerne l’imparzialità, l’equilibrio e la forza, sta purtroppo cambiando un po’ dappertutto. La bilancia si è rotta, la spada si è spuntata, e la Giustizia è semplicemente rimasta cieca.
Carlo Nordio, Il Messaggero 15 dicembre 2018