I robot ci ruberanno il lavoro, specie ai giovani? È una paura diffusa, ma non fondata. Semmai si dovrebbe avere paura del non capire quel che accade e cosa si dovrebbe fare.
Il trattore motorizzato ha “rubato” il lavoro a non pochi zappatori, ma sarà bene ricordare che zappare la terra è mestiere duro e zappando a mano si ottengono magri risultati, laddove, invece, usando il trattore si fa meno fatica e si ottengono frutti più abbondanti. Un bene. Che si fa per gli zappatori in sovrannumero? La ricchezza, vale ieri nei campi come oggi con i robot, crea nuove opportunità e posti di lavoro. Ci vollero più meccanici, più operai addetti alla produzione e il tempo liberato lo si poté dedicare all’industriarsi nella conservazione e trasformazione. Oggi l’Italia è leader europeo nella produzione, trasformazione ed esportazione agricola. Senza zappare.
L’automazione, o, se preferite, la robotizzazione, libera dai lavori ripetitivi e faticosi, dalla logistica alla meccanica, richiedendo, però, maggiore preparazione e specializzazione. Servono meno avvitatori di bulloni (ricordate “Tempi moderni”?) e più tecnici e ingegneri. Le occasioni di lavoro crescono (come anche il tempo liberato dal lavoro), ma ci si deve preparare. Ed è qui il problema.
Qualche giorno fa il Financial Times ha pubblicato i numeri delle ragazze che studiano Information Technology: già non sono molte in giro per il mondo, ma in Italia sono meno che altrove. Mica è un lavoro “duro”, ma serve competenza. I giovani che studiano negli istituti tecnici, senza distinzione di sesso, sono nel rapporto di 1 a 100 con la Germania. Risultato: posti di lavoro restano scoperti, per mancanza di chi li sappia fare. Questo deve fare paura: non il robot, che di suo non ruba niente a nessuno, ma il lavoro e la ricchezza che si perdono.