Tratto da La Stampa del 29/06/2016 – Ci voleva la Brexit per svegliare Milano. Sono finalmente in molti a riconoscere che l’uscita di Londra dalla Ue potrebbe essere un’opportunità per la città.
Anche il neosindaco Sala condivide l’euforia tanto da impegnarsi per portare a casa l’ Autorità Bancaria. Questa dovrebbe attirare a Milano il mondo della finanza che oggi alloggia a Londra, e quindi fare del capoluogo lombardo la nuova City. Ma a Londra non c’è solo la finanza.
Vi hanno sede molte multinazionali, tra cui quelle farmaceutiche per esempio. Non a caso, l’Agenzia Europea del Farmaco è stata messa lì. Le imprese vanno dove ci sono le condizioni migliori, dove c’è un ecosistema di regole e servizi che risponde alle esigenze imprenditoriali ed industriali. Ci sono oggi queste condizioni a Milano? No. La risposta è purtroppo molto semplice. Milano è certamente la più avanzata delle città italiane e di molte europee, ma paga i mali dell’Italia. Come fare dunque per realizzare il sogno di trasformare Milano nella capitale europea? La risposta è semplice, mentre la sua articolazione è naturalmente più complessa. Milano dovrebbe prima di tutto avere il coraggio di intraprendere quelle iniziative legali e fiscali che governo e Parlamento non riescono a realizzare. Diventare città stato è condizione essenziale. Come per Berlino, Londra, Madrid e Parigi, Milano può dotarsi dello statuto di regione, avvalendosi dell’art. 132 della Costituzione, conferendosi tutti i poteri di cui le regioni godono. Milano Città Metropolitana potrebbe diventarne l’amministrazione. In questo contesto diventerebbe quindi possibile operare sui tre fattori che gli investitori valutano in fase di scelte strategiche, nell’ordine di importanza: amministrativo, cioè la qualità della burocrazia – di cui ben sappiamo; legale, cioè la giustizia; e fiscale, e quindi il peso delle tasse. Londra ha molto lavorato su queste tre condizioni così come hanno fatto tutte quelle metropoli che sono diventate hub finanziari e industriali. Molte hanno istituito delle vere e proprie zone libere da burocrazia e fisco. Perché non si ha il coraggio di farlo a Milano? Per molti una free zone equivale ad un aiuto di Stato che contrasta con le regole Ue. Si negozi allora con Bruxelles, le condizioni oggi ci sono, ma ci si affretti. Questo non basta, tuttavia. Servono le infrastrutture. Le imprese come le nuove start-up cercano i servizi migliori. Milano in questo si è ben distinta dal resto della Penisola, ma paga le scelte, fatte con il freno a mano tirato, di Roma. Come possiamo pensare di attirare la finanza degli algoritmi se non ci dotiamo della infrastruttura digitale più avanzata al mondo? Stona per esempio la scelta del governo, unico in Europa, di rallentare l’adozione del 5G. Le ragioni delle tv e delle telecom nazionali sono legittime, ma un governo dovrebbe spiegare come può fare dell’area Expo il centro della robotica e dell’innovazione senza le infrastrutture più avanzate.
Il ventunesimo è il secolo urbano. Le città stanno sostituendo gli Stati creando una frattura netta con quello che le circonda, creando dei conflitti economici e sociali, ma anche culturali e politici.
Il contrasto tra Londra e il resto dell’Inghilterra ne è un buon esempio. Lo stesso si sta verificando negli Usa e la campagna elettorale in corso lo sta dimostrando. Ci sono città-regione che spingono verso la Società Aperta apprezzando e traendo vantaggio dalla globalizzazione, dallo sviluppo tecnologico e dal pluralismo, mentre altre temono questi fattori e li rifiutano. Milano e i cittadini della sua area metropolitana devono scegliere dove stare e cosa diventare: più mondo o più provincia italiana.

Share