Questo giornale ha pubblicato ieri i risultati di uno studio promosso dall’Associazione Amici della Luiss sul modo in cui i network e le nuove tecnologie possono influenzare le scelte politiche e sociali degli individui, condizionandole od orientandole verso risultati desiderati. Il nostro editore, Francesco Gaetano Caltagirone, ne ha tratto una stimolante riflessione, ricordando i rischi di questa singolare forma di democrazia diretta.
Un tempo – ha scritto – questa manipolazione era operata dalla religione, al punto da imporre l’abiura a Galileo; poi è diventata strumento delle ideologie, fino a svilirsi nel marketing con la creazione di bisogni indotti da un’insinuante persuasione. Ora è una tecnica di comunicazione telematica, che mira all’accreditamento di gradimenti istantanei svincolati dalla conoscenze e dalla riflessione. Ne è vittima il nostro intero sistema democratico, che si regge sulla selezione dei rappresentanti del popolo incaricati di comporre i diversi interessi limitando i conflitti sociali.
Aggiungo qualche mia considerazione supplementare sugli effetti perversi dell’irruzione di questa interferenza telematica nella formazione del sentire collettivo: effetti forse non previsti come spesso accade quando la tecnologia, che corre più veloce del buon senso, provoca disastri contro le intenzioni dell’inventore.
Come diceva Schiller, la pietra lanciata dall’uomo appartiene al diavolo, e non sai dove andrà a cadere.
Questa nuova forma di persuasione è in effetti più pericolosa delle precedenti. Quando, ad esempio, la Chiesa imponeva a Galileo di rinnegare l’eliocentrismo, si esponeva alla smentita dell’osservazione scientifica, e allo stesso tempo sollecitava le menti libere a continuare la ricerca, con il risultato di smascherare gli errori dell’inquisitore. Le ideologie, di converso, trovavano la compensazione in quelle antagoniste, lasciando così al cittadino l’opzione preferita.
Quanto alla “persuasione occulta” evocata da Marcuse come il mostro dell’economia di mercato, essa era inserita nella libera concorrenza, che attraverso messaggi uguali e contrari ne annullava di fatto l’efficacia. Non era insomma necessario aver letto Popper – che di queste strambe teorie aveva fatto piazza pulita – per capire che si trattava di condizionamenti tutto sommato velleitari ed innocui. Infatti, per quanto almeno riguardava la politica, per cinquant’anni il nostro sistema è stato ingessato da orientamenti elettorali stabili e persino prevedibili.
Oggi, con l’intervento dei “like” e dei loro derivati, questa captazione del consenso è precipitata nel buco nero delle pulsioni emotive, e quello che un tempo era il magistero autoritario ed arcigno della Chiesa o del partito è diventato veicolo di ricezione acritica di slogan e di luoghi comuni. Ma questa è solo una prima conseguenza, e nemmeno la più grave. Perché questa invasività capillare e progressiva provoca una sorta di investitura etica che attribuisce al destinatario del gradimento il potere di distinguere il vero dal falso, il buono dal cattivo, il giusto dall’ingiusto, l’utile dal dannoso. Il voto espresso dall’utente con un semplice “like” diventa così lo strumento illusorio di un potere che di fatto è già stato acquisito ed esercitato da chi lo ha stimolato a quella reazione. Quando infatti il quesito è formulato in un certo modo, la risposta è la mera certificazione sacrificale di un’abdicazione. Mussolini era maestro nel porre queste domande retoriche, ma lì almeno c’era una dittatura. Ora la narcosi delle coscienze è subdolamente contrabbandata come espressione della rousseauiana volontà generale.
Infine, l’aspetto più propriamente politico. Se queste risposte dei social sono – come tutti i frutti di suggestioni enfatiche – volatili ed effimere, i loro risultati sono al contrario permanenti e duraturi. Da esse ormai rischiano di dipendere le approvazioni di leggi, le edittazioni estromissive di ministri e di candidati, la formazione del bilancio e forse un domani la tenuta del governo o della legislatura. Così, la partecipazione incontrollata e massiccia della cosiddetta democrazia diretta, unita all’esaltazione isterica dell’emotività capricciosa, rischia di provocare conseguenze stabili e funeste, che gli stessi autori magari proveranno successivamente a rimediare con altrettanti espedienti retorici uguali e contrari. Ed è questo l’incubo di chi abbia a cuore la sorte della nostra democrazia. Non lo spettro di un’inesistente svolta autoritaria o addirittura fascista, ma l’isolamento in un lazzaretto politico delle menti competenti e capaci, e, aggiungiamo noi, l’irruzione caotica del dilettantismo e dell’arroganza.