La città di Racalmuto onora oggi Leonardo Sciascia nel trentennale della morte, con un dibattito sulla Giustizia presso la Fondazione che reca il suo nome. Sappiamo quante energie fisiche e intellettuali l’illustre scrittore abbia dedicato a questo problema. Come ricordo riverente, vorremmo immaginare cosa ne penserebbe oggi, dopo la caduta della prima repubblica e il succedersi di tante riforme. Crediamo che ne resterebbe sconfortato, anche se la sua desolazione sarebbe mitigata dalla sia ironia e dal suo scetticismo. Sciascia conosceva troppo bene la natura umana per illudersi che potesse rapidamente evolversi da uno stato di supina subordinazione ai luoghi comuni a quello di una mente critica autonoma e consapevole. E comunque, da autentico libertario e riformatore, manterrebbe intatto il vigore polemico per denunciare la deriva civile verso la quale stiamo scivolando. Resta il fatto che , sempre in suo onore, un piccolo bilancio va fatto dell’evoluzione giudiziaria di questi ultimi anni.
Non tutto è stato negativo, e almeno una battaglia del Maestro è stata vinta a metà. Per merito suo, e degli amici radicali che in questi decenni hanno lottato per realizzarne i sogni, quantomeno il sistema carcerario è parzialmente migliorato. E’ migliorato nella legislazione, che pur nel consueto bustrofedico andirivieni tra provvedimenti indulgenziali e inasprimenti di pene ha mitigato il rigore della prigione con un sistema di pene alternative volte alla rieducazione e al recupero del condannato, evitando di esporlo ai trattamenti degradanti dei decenni passati. Ed è migliorato nelle strutture, perché malgrado l’ esigua: delle risorse grandi progressi sono stati ottenuti nell’igiene, negli spazi usufruibili e più in generale nella gestione e nell’assistenza dei detenuti. Non è molto, ma non è neanche poco. Detto questo, il resto è silenzio.
O meglio, è deplorevole regressione incivile. Quando Sciascia morì, il mondo giudiziario auspicava che, con l’introduzione del nuovo codice Vassalli, (cosiddetto alla Perry Mason) i processi sarebbero stati più rapidi, le pene più equilibrate e più certe, la carcerazione preventiva più ridotta, le garanzie difensive aumentate, e i magistrati più responsabilizzati. Invece le cose sono peggiorate. Non è stata introdotta nessuna delle caratteristiche tipiche che fanno funzionare il codice accusatorio in tutti i paesi di cultura anglosassone dove è stato adottato: non la discrezionalità dell’azione penale, surrogata oggi dall’insindacabile arbitrio dei singoli procuratori; non la separazione delle carriere, che consente ancora ai pubblici ministeri di decidere sulla sorte professionale dei giudici e viceversa; non la differenza tra la giuria (che valuta il fatto) e il giudice (che regola il dibattimento), con la conseguenza che verdetto e sentenza sono affidati spesso a una singola toga, le cui opinioni politiche costituiscono la prima curiosità e la principale preoccupazione dell’imputato; non la riforma del pubblico ministero, unico esempio al mondo di enorme potere senza alcuna responsabilità; non la depenalizzazione e l’accelerazione dei processi, aggravata da una sciagurata riforma sulla prescrizione che ne prolungherà a dismisura la durata; e infine nemmeno la riforma del Csm, che in questi giorni, soccombendo sotto l’incalzare delle intercettazioni , sta perdendo i suoi componenti come i dieci piccoli indiani dell’omonimo giallo di Agatha Christie, guarda caso uccisi da un giudice. Ed è questa forse la circostanza che addolorerebbe di più il nostro Maestro.
Assistere alla vergognosa devastazione dei più elementari diritti civili attraverso la captazione invasiva delle conversazioni altrui, che dopo una sapiente selezione e un’ arbitraria mutilazione vengono cedute a giornali amici, in totale dispregio dell’art 15 della Costituzione. Questa intraprendente strategia non ha vulnerato – e sta vulnerando -solo i politici. Sta aggredendo la stessa magistratura minandone la credibilità con effetti funesti per la democrazia, perché il cittadino può esautorare il politico di cui perda la fiducia, ma non può estromettere un magistrato che domani potrà sbatterlo in galera. Ma questo Leonardo Sciascia lo aveva previsto, anche se non se ne era rassegnato. Ed è per tale ragione che la sua battaglia, anche se fosse perduta in partenza, o forse proprio questo, è sempre attuale ed ancora più nobile.
da Il Messaggero, pag. 1 del 19 Luglio 2019