A che serve la libertà politica a chi dipende da altri per soddisfare ai bisogni elementari della vita? Fa d’uopo dare all’uomo la sicurezza della vita materiale, dargli la libertà dal bisogno, perché egli sia veramente libero nella vita civile e politica, perché egli si senta davvero uguale agli altri uomini e libero dall’obbligo di ubbidire ad essi nella scelta dei governanti, nella manifestazione del pensiero e delle credenze. La libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica. (Chi vuole la libertà?, in «Corriere della Sera», 13 aprile 1948)
Luigi Einaudi: 140 portati bene
Manca più d’un mese, ma è bene prepararsi. Il prossimo marzo il “nostro” Presidente avrebbe compiuto 140 anni (24 marzo 1874, Carrù). In attesa dei fatidici 150, a questo inconsueto 140esimo anniversario non aveva pensato proprio nessuno. Nessuno tranne Giuseppe Orlando, dirigente scolastico dell’Istituto d’istruzione superiore “Luigi Einaudi” di Cervinara, nell’altopiano Caudino in provincia di Avellino, al quale è venuta l’idea di festeggiarlo assieme ai suoi 600 allievi. E poiché a Cervinara per tre anni di fila si è tenuta una Scuola di Liberalismo, il preside ha chiamato i vecchi organizzatori, i quali a loro volta hanno chiamato la Fondazione … Per farla breve, Valerio Zanone ed Enrico Morbelli passeranno le Forche Caudine sabato 22 marzo per essere alle ore 11 nell’aula magna dell’istituto cervinarese a parlare di Luigi Einaudi: 140 portati bene. A questo punto, in tutte le Scuole di Liberalismo che abbiamo attualmente in funzione, è stato previsto che col medesimo titolo lunedì 24 marzo si commemori il nostro eponimo: a Parma sarà il tema della inaugurazione della Scuola XCI ad opera di Pierluigi Ciocca, già vicedirettore generale della Banca d’Italia; a Milano ci penserà Carlo Secchi, borsista della Fondazione, ex eurodeputato ed ex rettore della Bocconi. A Torino invece il ricordo sarà affidato martedì 25 marzo al direttore del Centro Einaudi Giuseppina De Santis; mentre alla Spezia ci penserà Enrico Musso, docente genovese ed ex senatore, nella sua lezione di venerdì 28 marzo.
Onorevoli Qualunqui? Italia in bilico
di Aldo A. Mola*
Maggio 1899. Un pugno infranse il vetro dell’ingresso nell’aula dei deputati. Attraverso l’oblò, un socialista, appena espulso, s’affacciò urlando: “Continua, nevvero, la camorra parlamentare!?” L’intransigente Enrico Ferri parlò cinque ore consecutive per bloccare la riforma del regolamento, che avrebbe tappato la bocca all’opposizione. Affascinato dallo spettacolo, il poeta Gabriele d’Annunzio lasciò la Destra e volò a Sinistra esclamando: “Vado verso la vita”. Dunque, “Nihil sub sole novi”. Ne abbiamo vedute tante e altre ne vedremo. Con sereno distacco. Ci aiuta l’immagine del treno da settimane in bilico sulla scogliera di Andora, in Liguria. È simbolo del Bel Paese. Reggerà? Cadrà? Di certo il convoglio non è andato fuori di testa da sé ma perché lì un pezzo di Patria gli è franato addosso. Il suo problema non sono i vagoni; è la locomotiva. Proprio come per l’Italia, il cui nodo insolubile non è affatto la nuova legge elettorale (ve ne sono dozzine di modelli, a prezzi di saldo) ma la riforma della Costituzione. Ma questa, anche a farla sveltina, richiede almeno un anno. Più o meno il tempo minimo per esaminare l’accusa di attentato alla Costituzione depositata dal Movimento 5 Stelle a carico del presidente della Repubblica.
Anche questa è una novità vecchia. Più di vent’anni orsono il Partito comunista italiano chiese l’incriminazione di Francesco “Kossiga”. Nel 1978 Giovanni Leone fu costretto alle dimissioni anticipate dopo anni di sadico linciaggio mediatico. Anche Saragat da un certo momento ebbe pessima stampa. Le forze di sinistra hanno insegnato che, fatto un capo dello Stato, già si pensa al prossimo. Quanto alla condotta in aula, tutti ricordano le zuffe contro l’adesione dell’Italia alla Nato e i lanci di quant’era a portata di mano per impedire la riforma elettorale del 1953. Ad Andora, quella immobile locomotiva e le carrozze dai colori esangui rispecchiano questo Stato: fermo su un binario morto. Non sempre l’Italia fu così. Anzi.
La ferrovia da Spezia a Ventimiglia venne progettata dal governo di Camillo Cavour nel remoto 1857. Con l’unità d’Italia (1861) i lavori presero slancio e nel 1872 (la capitale ormai era a Roma) la linea fu completata. Un prodigio delle perforatrici ma anche tanto “picco e pala”. Nessuno Stato europeo fece altrettanto in quegli anni. Nessun altro dovette unire Bologna e Firenze forando gli Appennini. Lo fece l’Italia di Vittorio Emanuele II, Quintino Sella, Giovanni Lanza, Giuseppe Biancheri, Agostino Depretis… sino a Giolitti, perché le istituzioni anteposero sempre gli interessi della nazione a quelli municipali e corporativi. Quello fu il vero liberalismo italiano: promuovere le libertà attraverso il progresso economico e l’istruzione, volano dell’incivilimento.
Poi però i governi, come il baco da seta, si chiusero nel bozzolo del parlamentarismo: favori, clientele, congreghe. Non c’erano (come neppure oggi ci sono più) partiti veri, bensì conglomerati di clan regionali, gruppi d’interesse, corporazioni. Vamba (Luigi Bertelli, 1858-1920) in L’onorevole Qualunqui e i suoi diciotto mesi di vita parlamentare (ora ripubblicato da Bairon), ne scrisse nel ‘98 quando il cinquantenario dello Statuto fu oscurato da tumulti scambiati per insurrezioni, represse con eccesso di zelo. La “politica” scaricò sui militari la propria inconcludenza. Ma com’era formato allora il ceto parlamentare, la celebre “classe dirigente”?
“L’onorevole Qualunquo Qualunqui – narra Vamba – rappresenta in Parlamento il secondo collegio di Dovunque e fino agli ultimi tempi ha fedelmente combattuto nel partito dei Purchessisti, propugnando il programma Qualsivoglia o appoggiando cortesemente il gabinetto Qualsisia”. Eletto deputato con programma di sinistra ne aveva sostenuto il capo storico, Depretis, e poi il suo successore, Crispi e quindi Rudinì, che era di Destra ma aveva votato tante volte con Crispi, e poi Giolitti che era stato ministro con Crispi e alla Camera era entrato per benvolere di Depretis. È la Storia: trasformismo senza riforme.
Dopo i fattacci del 1898 presidente del consiglio fu nominato il generale Luigi Pelloux, un savoiardo che nel 1861 scelse “Italia e Vittorio Emanuele”. La Camera fu teatro di scontri. Ma poi il governo passò in mani sicure e si ebbe il miglior quindicennio della storia d’Italia. Cominciò con la presidenza dell’ottantenne Giuseppe Saracco, nativo di Bistagno e per trent’anni sindaco di Acqui Terme, e continuò col rupestre Giolitti. Proprio nel ’99, mentre alla Camera volavano pugni e calci e insulti, un gruppo di notabili fondò sulle rive del Po la Fabbrica Italiana Automobili Torino. Quell’Italia guardava lontano perché si fondava sul senso dello Stato: quel “sesto senso” ora posposto a tutti gli altri in un Paese che non vuole né ferrovie né autostrade né “banda larga”, nell’illusione di avere sempre cielo azzurro e sole a picco e di campare di turismo: non Donna di Provincia ma immenso caotico campeggio.
* storico e direttore del Centro europeo “Giovanni Giolitti”
Liberalismi in libreria
di Valerio Zanone
Cominciamo da questo numero una rubrica sulle novità bibliografiche attinente ai liberalismi. Il plurale è d’obbligo, visto che all’insediamento della Consulta Liberale gli studiosi convenuti alla Fondazione Einaudi si sono trovati d’accordo sul fatto che il solo significato del liberalismo accettato da tutti è la polisemìa, ossia la pluralità dei suoi significati. La rubrica si inaugura con il libro di Corrado Ocone “Liberalismo senza teoria”, ed. Rubbettino 2013. È una rassegna di autori che non possono mancare sullo scaffale di ogni liberale: da Montesquieu alla Arendt passando per Kant, Humboldt, Mill e Berlin, e per l’Italia Vico, Croce, Einaudi, Antoni, Gobetti e Bobbio.
Però il percorso di Ocone non transita per la via maestra della teoria consolidata, ma svicola lungo le varianti del pluralismo. Il suo liberalismo senza teoria finisce per connotarsi anzitutto per i suoi contrari: contro il conformismo, il dogmatismo, il perfezionismo, il paternalismo; a favore del dubbio, dello spirito critico e appunto, della pluralità. Le ragioni del pluralismo sono di casa nella fondazione intitolata a Luigi Einaudi, il quale usava accenti persino commossi per elogiare “la varietà e il contrasto”, “la bellezza della lotta”, “l’anarchia degli spiriti”. Ma la pluralità dei liberalismi storicamente noti e politicamente possibili dispone peraltro di un fattore comune. Ciò che può conciliare la pluralità dei liberalismi è un’idea del liberalismo che sia non una teoria, ma un metodo; che rivendichi per sé non il possesso della libertà, ma la tensione di cercarla; che non si chiuda in un sistema, ma si apra sempre nuovi problemi.
Fra gli autori trattati da Ocone, quello che a mio avviso più si aggira nel libro è lo spirito storicista di Croce, che esortava sempre i liberali a non chiudere la libertà nella gabbia dell’ astratta teoria, ma a cercare gli spazi di libertà che si aprono al varco della storia. Il libro di Ocone si presta a varie discussioni, a partire dalla prima pagina dove l’autore propone di “anteporre a termini-concetto quali individuo, Stato limitato, diritti, ordine spontaneo, altri più pregni di significato liberale quali dubbio, spirito critico, pluralismo”. Detta alla buona: i diritti individuali, i limiti del potere, l’ordine del mercato non sono alternativi allo spirito critico e al dubbio metodico, perché sono le garanzie del loro esercizio.
Gli inattivi sfiduciati dell’Istat
di Enrico Morbelli
Oggi, alle prime due ore, c’è compito in classe di matematica. Pierino ha passato tutta la serata di ieri a scrivere su rotolini di carta la soluzione dei teoremi che probabilmente verranno proposti. Li ha infilati nelle calze. Non si sa mai. Per fortuna dopo c’è italiano (la sua passione), ma anche storia (speriamo che non lo interroghino). Nel pomeriggio, dopo i compiti e la lezione di pianoforte, ha la riunione degli scout in preparazione dell’uscita con pernottamento. Pierino è caposquadriglia ed è preoccupato: il meteo minaccia neve. Domattina, alla prima ora c’è educazione fisica, salutare allenamento prima dello scontro pomeridiano di pallacanestro contro gli storici rivali della Fortitudo. Pierino ha 16 anni, mangia come un lupo ma è secco come un chiodo. Tra scuola, pianoforte, scout, basket e festicciole con gli amici non ha un minuto libero. Ma per l’ISTAT (quello dei due polli di Trilussa) Pierino è inattivo. E poiché – per l’ISTAT ma anche per Eurostat e per l’ILO – da un punto di vista lavorativo il nostro piccolo eroe non risulta né occupato (perché non lavora) e neppure disoccupato (perché il lavoro non lo cerca: ha troppo da fare), ecco che per i catastrofisti radiotelevisivi e della carta stampata Pierino si trasforma in un inattivo totalmente sfiduciato, in bilico sulla spalletta del ponte con le gambe a ciondoloni e pronto a buttarsi nel fiume. Quanti sono gli studenti medi o universitari che hanno compiuto i 15 anni e che, più o meno felicemente, si limitano a studiare? Più o meno un milione. Ma possiamo continuare a considerarli disoccupati o, peggio, inattivi sfiduciati con un piede nella fossa? Se lo è domandato Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, suscitando la piccata risposta dell’Istituto: “In tutta Europa si fa così, coerenti coi regolamenti internazionali”. Non lo sapevamo. Le nostre innocenti certezze sulla validità dei dati ISTAT cominciano a vacillare. Il dubbio – pessimistico sentimento del liberale doc – è in netta ascesa. Grazie al liberale doc Angelo Panebianco.
La Scuola
Come annunciato nello scorso numero, martedì 18 febbraio i ragazzi e le ragazze della Scuola di Liberalismo di Sulmona, scortati da Luciano Angelone, saranno in visita nella Capitale alla Banca d’Italia (ore 9.30) e al Quirinale (ore 14.30). Con l’occasione porteranno a Roma le tesine di fine corso, le migliori della quali verranno poi premiate il 3 marzo.
A proposito di Scuole, martedì 25 febbraio alle ore 17 Carlo Lottieri terrà la prima lezione di quella di Torinosul tema La Svizzera tra passato e presente. Considerazioni per l’elaborazione di un modello di ordine liberale. Se la Scuola torinese porterà sulle locandine il numero 89 (essendo la numero 1 quella tenuta a Roma nel remoto 1988), il numero 90 sarà appannaggio di Milano il cui debutto è previsto per lunedì 10 marzo, molto probabilmente con una lezione di Quentin Skinner su La libertà e le sue definizioni. Proseguendo, il numero 91 toccherà alla Scuola 2014 di Liberalismo di Parma che avrà inizio lunedì 24 marzo con le considerazioni di Pierluigi Ciocca su Luigi Einaudi: 140 portati bene. Col prossimo numero di questa newsletter renderemo noti orari, date, programmi e docenti di Milano e Parma, attualmente in fase di completamento.
giovedì 27 febbraio – ore 18
“Guerra alle donne” di Michela Ponzani edito da Einaudi verrà presentato in Fondazione da Anna Balzarro, Cinzia Caporale e Lutz Klinkhammer. Presiederà Franco Chiarenza.
lunedì 3 marzo ore – 18
Saranno Luigi Compagna, Carlo Gambescia e Nicola Iannello a presentare in Fondazione il libro di Teodoro Katte Klitsche de la Grange “Funzionarismo”, edito da Liberilibri. Presiederà Luciano Argiolas. Prima di tornare a casa assaggeremo la “pizza brodosa” dei Monti della Tolfa (che non è affatto brodosa, ma si chiama così) la qual cosa ci porta indietro di quasi due secoli nella storia di famiglia dell’autore. Bisogna risalire infatti al suo omonimo Teodoro Klitsche de la Grange, barone e figlio morganatico del principe Luigi Ferdinando di Prussia e della contessa francese Maria Adelaide de la Grange che, dopo la battaglia di Waterloo, giunse a Roma e, dopo vari spostamenti, decise di stabilirsi ad Allumiere. Da allora la famiglia – ricca di letterati e di scienziati – ha continuato a fare la spola tra Roma, Tolfa e Allumiere. Aggiungiamo che l’attuale Teodoro, fin dai tempi della Gioventù Liberale, nel nostro ambiente è sempre stato chiamato Kappa Kappa, senza tanti orpelli.