l’Italia che compete riprende la parola
La patrimoniale va bene, ma applicata allo Stato, correggendo un fisco ingiusto e vessatorio.
Abbiamo un debito pubblico che viaggia verso i 2.400 miliardi. Ci costa, solo di mantenimento, quanto il comparto dell’istruzione. Il debito ha come contrappeso un patrimonio delle famiglie fra i più alti nel mondo sviluppato: circa 10.000 miliardi, fra attività mobiliari e immobiliari. Le patrimoniali già esistono. La tentazione di utilizzarle per riequilibrare debito e patrimonio è negata, ma ricorrente. La patrimoniale va utilizzata, ma messa allo Stato, con la vendita della parte improduttiva e non strategica del patrimonio pubblico. Perché non sia una chiacchiera, nel settore immobili, ad esempio, richiede che: a. le parti venditrici non siano tante, ma una sola, quindi il patrimonio da vendere va concentrato; b. va inserito in un unico veicolo societario; c. vanno rimossi i vincoli d’uso irragionevoli, restando quelli ambientali e architettonici, ove sussistenti; d. l’operazione va messa a gara internazionale; e. la cartolarizzazione può partire in tempi brevi; f. pensare di vendere questo o quel pezzo solo per far cassa a fine anno serve per restare indebitati, impoverendosi.
La spesa pubblica va fermata, quella corrente ridotta, per battere l’assistenzialismo che danneggia anche l’assistenza.
Troppi sono convinti che la spesa pubblica sia la soluzione di questo o quel problema, invece è il problema. Il valore assoluto della spesa va fermato, in modo che la crescita, più vivace, favorisca da sé la sua diminuzione percentuale. Fermo il saldo, va tagliata la spesa corrente e spostate risorse verso gli investimenti. Continuare a spostare ricchezza verso il non lavoro, per giunta in deficit, come si è fatto, da ultimo, con reddito di cittadinanza e quota 100, non è una ricetta keynesiana, ma una perversione clientelar-assistenzialista, esattamente il contrario dell’assistenza ai deboli e svantaggiati. Servono investimenti, non sussidi. È tale condotta che può favorire la nascita di spesa europea in deficit per gli investimenti, mentre quella fin qui praticata ne blocca anche solo l’ipotesi e rattrappisce la crescita dei più indebitati. La nostra è una proposta sociale, quella in voga, largamente praticata, è asociale.
L’Italia e il Sud del Paese vanno liberati, non assistiti.
Il pietismo ha generato assistenzialismo. Il meridionalismo querulo e piagnone ha propiziato la solidificazione dell’arretratezza. Per imboccare la via della crescita non servono elemosine, serve che lo Stato faccia lo Stato e lasci in pace chi lavora nel mercato. Serve giustizia funzionante (non più soldi, perché le leggi sono uguali in tutta Italia, ma al Sud la giustizia funziona peggio); scuola formativa (basta con le regolarizzazioni reiterate, serve selezione e qualificazione degli insegnanti, con premi al merito); amministrazione non ostativa (la digitalizzazione serve a smontare, non a consolidare la mala amministrazione, serve a risparmiare, non a spendere di più). Quando lo Stato non sa fare lo Stato si diffonde il crimine e con quello la miseria morale. Quando lo Stato vuol fare il mercato si offende la libertà e si genera miseria materiale.
Con l’ambiente si facciano soldi. L’ambientalismo parolaio e inerte inquina e genera miseria.
L’ambientalismo è una cosa seria e quello serio non è la speranza di ritorno al bel tempo antico (mai esistito), ma l’impegno a raggiungere il bel tempo futuro. L’economia verde non è il non fare e il non sporcare, ma il ricercare e innovare. Chi tiene all’ambiente punta sulla ricerca scientifica, non sul camminare a piedi non sapendo manco dove andare. Le Università devono essere in concorrenza fra di loro, cancellato il totem assurdo del valore legale del titolo di studio e il mondo produttivo deve potere spendere in ricerca investendo nell’Università che ritiene più adatta. Il fisco stia lontano da queste spese, che sono i migliori investimenti per cogliere le opportunità del futuro prossimo. In ogni caso non esiste alcuna economia verde in un Paese che sprofonda nella spazzatura e non è capace di trattarla e smaltirla. Questo tema va centralizzato, togliendo potere a chi è stato incapace di gestirlo in questi anni.
Gli immigrati vanno scelti. Buonisti e cattivisti sono soci nell’inutile commedia.
Il governo (Conte 1) che più ha puntato sul contrasto all’immigrazione è il medesimo che ammetteva (nel Def) che i conti reggono se in Italia entrano almeno 165.000 immigrati in più l’anno, ogni anno. Basta con le politiche tutte anima e core, buoni o cattivi, tanto è lo stesso e ugualmente fuori dalla realtà. Il punto è che gli immigrati economici vanno scelti, il che necessita di politiche che non spendano nel soccorso falso caritatevole, ma selezionino e formino, anche nei Paesi di partenza. Il sistema della formazione deve essere lo strumento per attirare quel che ci serve. Puntando alla convenienza, non alla bontà. L’argine agli altri serve, ma deve essere europeo e ce ne sono le condizioni, se solo si discute con chi usa il linguaggio della convenienza e non quello della demagogia: già c’è un abbozzo di comune polizia di frontiera, occorre comune giurisdizione, in aree extraterritoriali, quindi comune responsabilità nel riconoscere e accogliere i profughi e nello scegliere coloro di cui giovarsi, come, in ultimo, nel rimpatriare i non desiderati.
Non pensionare la ragione. Ci sono anche i lavoratori giovani, non solo i votanti anziani.
Abbiamo la più alta percentuale europea di pensionati per numero di lavoratori. Nel 2050 ne avremo 105 ogni 100 lavoratori. Al contempo abbiamo la più bassa natalità d’Europa. Non occorre troppo ingegno per capire che il sistema non può reggere. Si possono illudere i pensionandi promettendo loro rendite, ma è un imbroglio. Le leggi di bilancio spostino soldi verso il sostegno alle famiglie, con tempo pieno scolastico, formazione e sport/tempo libero. Può darsi che questo faccia perdere voti, ma il contrario significa votare tutti alla sicura rovina.
#stanchidipagare
I cittadini è giusto paghino per i servizi e la sicurezza che ricevono. Chi non paga deve essere perseguito e non condonato. Ma siamo stanchi di pagare, con fisco e debiti contratti sulle nostre teste, al solo scopo di finanziare il rinvio dei problemi, una burocrazia ottusa e inefficiente, l’incapacità delle classi dirigenti di raccontare la realtà, preferendo le illusioni. Siamo stanchi di pagare per accudire anziché cancellare arretratezze e insufficienze. Siamo stanchi di pagare per rassicurare la viltà e proteggere l’incapacità. L’Italia che compete vince.
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