Caro direttore, nel nostro Paese, pensavamo di avere visto tutto, invece siamo stati capaci di inventarci il decidere senza decidere, siamo grandi! L’ attuale governo, su quasi tutti i decreti, quando rischia di non avere la maggioranza, per evitare di andare giù con il voto del Parlamento, ha inventato un concetto «simpaticissimo»: «salvo intese». Il decreto semplificazioni 2020 è stato approvato, «salvo intese», tradotto in italiano: siccome non possiamo rimandare ancora, facciamo finta di averlo approvato e rimandiamo il tutto a tempi migliori. Secondo lei, fino a quando il Paese potrà resistere rimandando le decisioni? Ogni giorno che passa, i problemi si aggravano, perdere tempo con la politica del «salvo intese» a cosa servirà?
Sergio Guadagnolo
Caro signor Guadagnolo la formula magica del «salvo intese» è ormai diventata una moda nella nostra pratica di governo. L’avevano già utilizzata altre maggioranze in passato ma ora è diventata un escamotage abituale per superare i contrasti politici. La traduzione in italiano è semplice: non siamo d’accordo su giustizia, appalti, semplificazioni ma facciamo finta di esserlo e passiamo oltre. Poi inizierà la battaglia comma per comma, decreto per decreto, per vedere chi la spunterà tra i partiti in battaglia. Quasi mai vince davvero qualcuno ma si rinvia ancora oppure non si fa nulla. Intanto abbiamo comunicato all’opinione pubblica che un bel provvedimento è stato varato in Consiglio dei ministri. Un metodo furbo ma ormai talmente scoperto che non ci crede più nessuno. Perché allora continuiamo a praticarlo? Per guadagnare tempo, per non assumersi responsabilità e sperare che accada qualcosa che tiri fuori la maggioranza dai pasticci. «Tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia», aveva suggerito ai governanti dell’epoca Giulio Andreotti. Ma siamo davvero sicuri che arrivare alla fine legislatura, mantenendo il proprio status di ministro e parlamentare, sia la strategia vincente? Da come hanno perso in pochi mesi consenso leader che sembravano imbattibili non direi proprio.
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