Il guasto viene prima e va oltre la caserma di Piacenza: “In Italia il senso del rispetto delle regole e la considerazione stessa del Diritto sono state relativizzate fino al punto di spingerle nel campo della metafisica. Tutti chiedono il rispetto delle regole per gli altri, ma quando si trovano al cospetto dei doveri imposti dalla legge domandano l’eccezione. Quando questo principio viene accettato e legittimato, non solo nella società ma anche nelle istituzioni, il problema diventa di sistema e si apre la strada a comportamenti scandalosi come quelli dei magistrati del caso Palamara, oppure criminali come quelli dei carabinieri di Piacenza. In entrambi i casi, siamo davanti a un sacrilegio nei confronti dello stato di diritto”.
Da ex magistrato di formazione liberale, Carlo Nordio confessa lo “sgomento” che prova nell’apprendere i fatti – tortura, pestaggi, spaccio di droga – che i magistrati contestano ai carabinieri di Piacenza, e che per la prima volta nella storia italiana hanno portato al sequestro di una stazione delle forze dell’ordine, quella di Levante: “Ho lavorato per anni fianco a fianco con gli agenti dell’Arma dei carabinieri. Ho combattuto il terrorismo con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ho rischiato la vita insieme a molti di loro e ritengo che si tratti di un corpo dello Stato straordinario, un presidio della democrazia italiana. È proprio per la stima che nutro verso l’Arma che lo sconcerto che provo è altrettanto grande. Nella scala etica, un reato commesso da chi ha il compito di reprimerlo è molto più grave di un reato commesso da un cittadino comune, poiché autorizza a pensare: ‘Qui non ci si può fidare più di nessuno’. Per questo, ritengo che non si tratti di un peccato isolato: si tratta di un sacrilegio nei confronti della Repubblica”.
Dunque, non sono solo ‘mele marce’?
L’espressione ‘mele marce’ fa parte di un retorica che non mi appartiene. Premesso che i fatti sono da accertare – e, se accertati, da punire senza esitazioni – ci sono delle riflessioni che si possono fare sui controlli che vengono esercitati nell’Arma dei Carabinieri, della Polizia e della Finanza.
Quali?
Tempo fa, un alto dirigente dell’anti terrorismo venne da me e, quasi scusandosi, mi disse: ‘Non siamo riusciti ad arrestare nessuno’. Gli domandai: “Ma quanti attentati sono stati fatti nel vostro territorio?”. Mi rispose: “Nessuno”.
E allora?
L’errore è nei criteri di valutazione. Lo dissi a quell’ufficiale e lo ripeto. L’idea che più arresti fai, più vieni considerato efficiente, dunque ricevi onorificenze e scatti di carriera, è sbagliato. Per lo Stato, è molto più importante evitare che siano messe venti bombe, che arrestare venti persone che hanno messo venti bombe. L’idea di mandare in galera più gente possibile è una patologia, sulla quale si può innestare anche il sacrilegio dei carabinieri di Piacenza, i cui superiori chiudevano un occhio proprio perché la statistica era dalla loro parte.
C’è una responsabilità anche più in alto?
Le responsabilità penali vanno accertate caso per caso. Man mano che si sale nella gerarchia, però, io credo che si possa parlare di una responsabilità morale, anche questa certamente da verificare, ma che si basa su un dato di fatto: i
controlli dei superiori non hanno funzionato.
Perché, secondo lei?
Perché quando tu sei ossessionato dalle statistiche puoi tendere a trascurare tutti gli altri elementi di valutazione. Pare che tra questi carabinieri ci fosse un appuntato che aveva in garage undici auto e sedici moto. Possibile che nessun
superiore gli abbia chiesto, anche in maniera bonaria: “Scusa, ma tu dove li prendi tutti ‘sti soldi?”. Io ho arrestato carabinieri, poliziotti e finanzieri. E, ogni volta, veniva fuori che su ciascuno di loro ‘girava voce che’. Intervenire prima,
in questi casi, è un atto di tutela nei confronti dell’istituzione, ma anche dei sottoposti, i quali potrebbero essere fermati prima di rendersi indegni di indossare la divisa.
Prima dei carabinieri, c’è stato lo scandalo Palamara. Secondo lei, c’è un problema più generale nelle istituzioni?
Sono d’accordo con Mattia Feltri quando scrive che il problema è di sistema. Noi abbiamo assistito negli ultimi anni a un fenomeno di relativizzazione delle regole. Sia a destra, sia a sinistra, si rivendica sempre di più un principio superiore che consente di scavalcare la legge. A sinistra, abbiamo visto paragonare ad Antigone il gesto di un cardinale che l’anno scorso si è calato in un tombino per riattaccare la corrente elettrica a un palazzo occupato; mentre a destra c’è chi ritiene legittimo dire: ‘Perché dovrei pagare le tasse se poi finiscono nel reddito di cittadinanza, oppure alimentano la corruzione’; più ci sono i mille chissenefrega delle regole che proteggono i detenuti, gli inquisiti, i sospettati. Sono buchi che si scavano nella diga dello stato di diritto e che pian piano la faranno crollare. Nel frattempo, stabilire il principio che le regole si possono violare, scatena nelle persone con maggiore tendenza a delinquere un senso di libertà e impunità. C’è anche questo, in quello che è accaduto nella caserma di Piacenza.
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