Riassunto: la Regione Lombardia, presieduta da Attilio Fontana, chiede all’azienda del cognato e della moglie del medesimo Fontana una fornitura di qualche decina di migliaia di camici al prezzo di oltre mezzo milione di euro. Fontana viene a saperlo da un suo assessore, ma nulla fa finché non cominciano a occuparsene i giornalisti di Report. Allora chiama il cognato, lo convince a trasformare la commessa in donazione e a parziale risarcimento prova a bonificargli 250 mila euro da un conto svizzero su cui sono depositati più di cinque milioni, i risparmi della madre arrivati dalle Bahamas con lo scudo fiscale (traduzione: ripuliti legalmente e tenuti all’estero). I presupposti del bonifico sono così bizzarri che viene bloccato, si avvisa Bankitalia e parte l’inchiesta.
Ricordo che stiamo parlando del presidente della Lombardia, non di Checco Zalone, per cui sì, non ha torto Matteo Salvini quando dice che non s’era mai visto un politico indagato per aver sborsato dei soldi, anziché intascarli.
Sono le nuove frontiere delle nostre leadership, a cui s’arrende pure Jacopo Pensa, l’avvocato di Fontana, al quale rimane di appellarsi, spendendo parole più eleganti, all’incapacità di intendere e di volere: nessun criminale sarebbe talmente balordo, ecco la miglior prova della buona fede. Probabilmente è un’ottima strategia processuale, e persino politica, in questo svalvolato Paese dove proliferano partiti onesti guidati da persone integerrime capaci delle più intergalattiche minchionerie, però in buona fede. Comunque, la presunzione d’innocenza non si nega a nessuno, quella di scemenza si concede a chi la vuole.
Mattia Feltri
La Stampa, 28/07/20
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