A quelli che pensano la spesa pubblica sia una benedizione per spingere l’economia opponiamo la palude che quella spesa alimenta, anche in violazione delle leggi, generando non solo sprechi, ma anche miseria. Perché quel che paghi e non è utile diventa furto a quelli che fanno qualche cosa.
Il presunto capitalismo municipale, da solo, genera la presenza di capitale pubblico in 7.154 fra società, enti, consorzi e fondazioni. 4.880, secondo la Corte dei conti, sono le società in senso stretto e, per parteciparle, i comuni non si limitano ad avere quote del loro capitale, ma hanno costruito un intrigo di partecipazioni incrociate. Manco fossero astuti finanzieri alla ricerca della convenienza fiscale, laddove sono solo ottusi alla ricerca di convenienza clientelare. La ragionevolezza e la sana amministrazioni imporrebbero di chiudere tutto quel che è inutile. Ma questo richiederebbe conoscenze e intelligenze mancanti. Sicché la legge si accontentò di non tirare in ballo il criterio dell’utilità, ma di limitarsi a stabilire che si sarebbe dovuto chiudere quelle società che: a. hanno più amministratori che dipendenti; b. fatturano meno di 500mila euro l’anno; c. con in perdita quattro quinti degli ultimi cinque bilanci. Già così sarebbe stato uno sterminio. Dopo anni: sono ancora lì e, dal 2014 al 2018 le società in costante perdita hanno fatto fuori 2 miliardi e 600 milioni. La sora Cesira e il sor Augusto non mantengono solo Alitalia e investono in Monte dei Paschi di Siena, buttano anche, sebbene non volontariamente, i loro soldi in questo pozzo senza fondo.
Richiesti di stabilire se almeno qualche cosa si può sbaraccarla, i comuni hanno stabilito di mantenere le partecipazioni in almeno l’87% dei casi. Sicché, essendo in vista elezioni amministrative, si dovrebbe chiedere ai candidati: cosa intendente chiudere. Votate quelli con l’elenco più lungo e poi verificate lo facciano.
Due considerazioni. La prima: spendere, o, meglio, buttare così i soldi, creando un esercito di presunti presidenti e presunti amministratori, non solo non crea sviluppo, ma lo ostacola. Vanno prese tutte e portate in un solo contenitore, riorganizzate le partecipazioni usando giovani laureati non sverginati alla rassegnazione e zuppi d’incompetenza ammanicata, ergo messe sul mercato, affrancando Cesira e Augusto. La seconda: Ernesto Nathan, che qui abbiamo celebrato, le municipalizzate le creò, per rompere i monopoli privati e alla condizione che fornissero un servizio migliore a prezzo più basso e guadagnassero.
Ricominciamo da lì, ma, prima chiudetele.