Ai sindaci e ai consiglieri eletti: congratulazioni e buon lavoro. A quanti affronteranno il ballottaggio: buona campagna e in bocca all’urna. A tutti gli altri: le amministrative lasciano sul terreno diversi perdenti, ma nessuno pensi d’essere vincitore. La destra riconosca la propria profonda sconfitta, dovuta non solo a candidati sbagliati, ma a politiche sbagliate, compreso l’inseguimento del ribellismo contro legge, ordine e precauzioni sanitarie, dopo avere inseguito l’antieuropeismo in un’era in cui neanche ci reggeremmo, senza l’Unione europea. La sinistra non s’illuda con una vittoria che arriva per sottrazione, non scambi per trionfo proprio il tonfo altrui e non dimentichi che i sondaggi opposti, in chiave politica generale, non erano suggestioni infondate, ma la perdurante incapacità di sottrarre voti agli avversari, non compensabile con alleanze innaturali con trasformisti perdenti.
Se commettessero questi errori, gli uni e gli altri, si avvierebbero a buttare il tempo che rimane a questa legislatura. Si concentrino su tre elementi: a. quasi un elettore su due non ha trovato un buon motivo per andare a votare; b. il risultato elettorale del 2018, che diede luogo al primo governo Conte, è definitivamente archiviato sia nell’allora dilagante componente pentastellata che nell’allora incontenibile avanzata leghista; c. quando, come a Roma, una nuova forza riesce a impastare programmi e visibilità diventa la lista più votata. In queste condizioni nessuno è maggioranza nel Paese e i fenomeni che sembrano travolgenti si esauriscono in fretta.
L’evidenza degli sconfitti e l’illusorietà dei vincitori si traduce in un ulteriore viatico per il governo, che gli uni e gli altri sostengono, dicono di volere continuare a sostenere, immaginando, un domani, d’esserne gli eredi. Potrebbero chiedere, sul punto, una consulenza a Carlo, principe di stoffa, eterno successore. Sul lato dei partiti, quindi, si tratta di vedere se hanno capito di non potere arrivare al 2023 in queste condizioni. Ma, nell’immediato, è più interessante volgere lo sguardo verso il governo.
Può molto, perché gli astanti possono pochissimo. Può osare, perché gli altri non oserebbero. È una condizione innaturale, non priva di risvolti che impensieriscono, ma è anche vero che il sostegno popolare è oggi con il governo e volterebbe le spalle a chi lo mettesse in crisi. In queste condizioni è possibile far nascere riforme vere e profonde, sebbene usando il forcipe della decretazione. Il più grande regalo che Mario Draghi può fare all’Italia è prepararsi, con molta calma e in futuro, a uscire da Palazzo Chigi non amato e plaudito, ma avendo fatto il necessario. Solo così sarà, nel frattempo, detestato chi provi a impedirlo. Poi non ci sarà il successore, ma una pagina diversa. Che potrebbe essere nuova.