Più immigrati. Molti più immigrati per tutti. Per la precisione 170mila all’anno per 20 anni. Alla fine saranno assai più di 3milioni e mezzo, perché 170mila sono quelli da mandare subito al lavoro, poi ci saranno le famiglie. Naturalmente da sommarsi a quelli già presenti. Dite che qualcuno avrà da ridire? No, è questo il bello: c’è concordia nazionale. All’epoca del primo governo Conte, con Matteo Salvini vice presidente del Consiglio e ministro dell’interno, l’accordo era che bisognava farne entrare 165mila all’anno, ogni anno, tutti gli anni. Altro che porti chiusi, eravamo a un passo dal mettere gli annunci: venite, per favore. Non saranno i 5mila in più a creare un problema, no?
Già, perché si deve essere cattivi dentro, d’animo gretto, cuori di pietra e forse ladri matricolati per volere negare a chi ha lavorato tutta la vita il meritato traguardo della pensione. Si deve essere sadici per continuare a spostarlo in avanti, dopo decenni di contributi pagati. Si deve avere una propensione alla dittatura per negare quello che è un diritto, per la miseria, un diritto conquistato e sudato. Ma si deve essere discretamente ottusi per non accorgersi di tre cose: a. qui nessuno sta proponendo di togliere alcunché né ai pensionati né a quanti s’apprestano a raggiungerli, la discussione verte attorno a quanto ancora dare e in che tempi; b. le pensioni oggi in pagamento solo raramente sono rette dai contributi versati, nella grande parte sono soldi variamente e in diversa misura regalati, tanto che la demagogia di quota 100 ha un costo, degradante con 102 e 104, ma sempre costo è; c. fare regali è segno di generosità, ma farli con i soldi degli altri profuma di raggiro, sicché si può pure continuare a far finta che i conti siano una sorta di dittatura ragionieristica, ma poi si deve provare a indicare chi pagherà tutto questo, chi finanzierà i buoni nel mentre fanno del bene.
Ed ecco la soluzione, leggibile, oggi come ieri, nelle neglette pagine c’accompagnano le epocali dazioni: 170mila immigrati, tutti gli anni, per venti anni, da mandare subito al lavoro, sicché paghino tributi e contributi; occupazione sempre crescente; pil costantemente in ascesa; produttività a lievitazione naturale. Questo nella condizione data, poi ci sono gli investimenti, i fondi europei, la riscossa. Non ci credete? Strano, perché l’Italia crede che 1.4 lavoratori possano mantenere oggi 1 pensionato, avviandosi verso il pareggio: un pensionato per ciascun lavoratore. Bon, per oggi abbiamo finito. Domani parleremo del reddito di cittadinanza e del bisogno d’aiutare i bisognosi che non trovano lavoro, giacché non sarete così aridi, cattivi etc. etc. da volere negare questo dovere. No, per niente, solo che più si spende per i poveri e più i poveri aumentalo, senza contare che abbiamo appena finito di dire che andiamo verso la piena occupazione e l’importazione massiccia di lavoratori. Allora, chi stiamo aiutando? Una classe dirigente di retori a tre palle un soldo e neanche mezza idea coerente.
Politica non è contrapposizione fra frontiere chiuse e accoglienza, fra volemose bene e volemose male, è fare i conti con quei numeri, accorgersi che manchiamo completamente non nell’accogliere, ma nello scegliere. Alla fine ci becchiamo quel che ci capita addosso, facendo entrare nel mentre si dice di volere rigettare. Danno e beffa. Ma è una commedia che va avanti da anni. Politica non è raccontare che la sudata pensione è un diritto, ma misurarsi con immensi e ingiustificati regali fatti in passato e incapacità di assicurare ai più giovani il trattamento futuro. Politica non è fare l’elenco dei derelitti, reali o presunti, e aggiungere la gnagnera dei diritti, per lo più presunti e prepotenti, ma mettere in fila i doveri cui ciascuno è chiamato.
La politica che non ci riesce non è di destra, di sinistra o al centro del nulla, è solo inutile. Difatti governa un altro. Si sbrighino a smetterla di far gli sparafesserie orecchiabili, altrimenti il 1992 sarà ricordato come un passaggio indolore.
La Ragione