Sull’onda dell’inchiesta che fece crollare la Prima Repubblica venne abolita l’autorizzazione a procedere, rendendo più esposta la classe politica italiana alle attività della magistratura. Un fenomeno analizzato da Giuseppe Benedetto nel suo ultimo libro edito da Rubbettino
L’Italia, dopo l’abolizione dell’autorizzazione a procedere, è sotto il profilo delle guarentigie parlamentari un ordinamento simile a quelli dell’Inghilterra e degli USA, in quanto vi è un’immunità sostanziale, ma è fortemente carente quella processuale.
La struttura della magistratura italiana è esattamente all’opposto rispetto alla tradizione anglosassone. I suoi membri sono selezionati per concorso pubblico secondo criteri tecnico-burocratici. Non godono di alcuna legittimazione dal basso.
La differenza è ancor più evidente con riferimento al Pubblico Ministero. Lì vige il principio di discrezionalità dell’azione penale, qui quello dell’obbligatorietà. Da loro gli uffici requirenti sono soggetti al potere esecutivo o nominati dal corpo elettorale, da noi sono burocrati irresponsabili e privi di qualsivoglia forma di controllo del governo.
Nel mondo anglosassone il modello accusatorio ha imposto la separazione delle carriere, quale insopprimibile corollario del diritto di difesa; in Italia i capi delle procure e Gip prendono il caffè insieme (se però il secondo non concede le misure cautelari richieste, allora l’amicizia si interrompe).
Nel nostro ordinamento il Pubblico Ministero non risponde della propria attività, è sottratto alla vigilanza degli altri poteri dello Stato e per tanti versi perfino a quella del suo superiore gerarchico; è in grado di influenzare la giurisdizione e titolare del potere di sottoporre liberamente a indagine ogni membro del Parlamento.
Non avviene in nessun Paese democratico al mondo.
Se poi passiamo ai Paesi di Civil Law, come precedentemente visto, è presente un’autorizzazione a procedere al momento della notitia criminis o a conclusione delle indagini preliminari, sospensione automatica del procedimento o su richiesta del parlamentare indagato.Poco importa, ogni Paese della tradizione romanistica presenta forme di autorizzazione a procedere. Solo da noi manca. Se questi sono i principi, non può esistere alcun equilibrio tra potere legislativo e giudiziario.
Il primo è destinato a soccombere, perché privo di adeguate tutele e di poteri di vigilanza. Il punto a cui siamo giunti è il frutto di una delega in bianco a favore della magistratura.
L’assunto è che in Italia sia più opportuna una democrazia giudiziaria piuttosto che parlamentare, dal momento che la classe politica si è rivelata non all’altezza dei compiti attribuiti.
Invece di provocare distorsioni nel sistema costituzionale, non sarebbe più opportuno selezionare politici di maggior qualità e più alta preparazione? Per di più, siamo così sicuri che l’ordine giudiziario sia un corpo di “eletti”, come qualche magistrato sostiene?
La realtà dimostra altro, perché ogni Istituzione è espressione dei cittadini e ne riflette pregi e difetti.
In questo Paese si deve smettere di legiferare in modo schizofrenico, pensando che gli italiani siano farabutti e incapaci di formulare giudizi di valore. In caso contrario, si persisterà nell’effettuare riforme aberranti come quella dell’art. 68.
Da un lato, il Pubblico Ministero è tout court scisso da ogni forma di raccordo con l’esecutivo (anomalo anche per l’Europa continentale) e, dall’altro lato, l’estensione delle prerogative parlamentari è quella propria della tradizione di Common Law, in cui però il legame della magistratura con gli organi politici è fortissimo. Un perfetto exemplum di cosa significhi alterare gli equilibri tra poteri dello Stato.
Non vi è alcuna speranza per il futuro se non si riporterà la magistratura negli spazi che le competono, attraverso un controllo su di essa delle altre Istituzioni democratiche. Coloro che gridano alla deriva politicante appena si accenna al tema della separazione delle carriere guardino alle esperienze straniere.