I costi della pandemia sono altissimi e si sono tradotti in un aumento enorme dei debiti nazionali. Alcuni dei quali, come il nostro, erano già patologicamente alti prima. Quei debiti non potranno essere cancellati. Quel che si può fare e garantirli in modo collettivo, federarli e proteggerli come si è fin qui fatto in Unione europea, spalmarli nel tempo senza offrire il fianco a speculazioni e cercare di diluirli con la crescita economica e anche un po’ di inflazione. I debiti è meglio non averli, ma quando li si hanno vanno governati, altrimenti sono loro a governare noi.
Il debito da pandemia non poteva che essere generato, non avevamo scelta. Quella che qualcuno credette di vedere, all’inizio, si è rivelata orribile. Chiudere prima e limitare poi ha nuociuto alla produzione e ai consumi, oltre che alle nostre libertà personali. E questo ha un notevole costo economico. Chi pensò di reagire in modo diverso, rifiutando le chiusure e puntando, come disse, all’immunità di gregge, s’è ritrovato con un’impennata di ricoveri e morti, dovendo precipitosamente far marcia indietro e passare alle chiusure. L’imbarazzante scambio fra vite umane e vita produttiva non ha funzionato, finendo con il creare maggiori danni alle une e all’altra.
Poi sono arrivati i vaccini, il cui costo è irrisorio, rispetto ai danni del virus. Inoltre sono stati un’esperienza eccellente di concentrazione e organizzazione europee, mentre le campagne di vaccinazione sono rimaste di competenza nazionale. E la nostra è andata bene. Con i vaccini non ci sono state più chiusure, ma sono continuate le limitazioni. È a questo snodo che si deve pragmaticamente pensare a quel che ora è necessario fare, tenuto anche conto che lo stato d’emergenza, in Italia, scade a marzo. Fra poco.
L’economia del covid deve finire. Proseguire con i ristori significherebbe puntare tutto sul far aumentare i debiti, il che prometterebbe futuro maggiore peso fiscale, il che, già da solo, è bastevole a soffocare la ripresa. Basta. Eppure il virus è ancora fra noi e, in queste settimane, genera ulteriori danni all’industria del turismo. Perdere tempo ad accapigliarsi fra ottusi serve a nulla. I camici bianchi televisivi che si sentono la sola voce della scienza e pretendono di cantarle a tutti, come quelli che ritengono il virus sia una montatura e i vaccini una sperimentazione, mandiamoli in cortile a scucuzzarsi. Inutilissimi.
Sappiamo, ad oggi, che l’ultima variante è molto contagiosa, ma per i vaccinati meno pericolosa. Per chi sa contare e non s’industria a imbrogliare, i numeri sono i seguenti: una persona con più di 80 anni non vaccinata ha una probabilità 85 volte maggiore di un vaccinato di finire in terapia intensiva, una fra 60 e 79 anni ha 12.8 probabilità in più, che diventano 6.1 per chi ne ha fra 40 e 59; fra i non vaccinati che si contagiano muoiono 23.4 persone ogni 100mila, fra i vaccinati 1.6 con terza dose e 3.1 per chi ha ricevuto la seconda da più di 150 giorni; il tasso di ricovero in ospedale dei non vaccinati è pari a 118.5 ogni 100mila, quello di ricovero in terapia intensiva è pari a 16.5, mentre per i vaccinati sono, rispettivamente, 9.4 (con punte di 20.5) e 0.8 (con punte di 1.4). Questa è la realtà, ad oggi. Ricordando sempre che occorre tenere presente non solo se si è vaccinati, ma anche da quanto tempo. Ed ecco perché la campagna deve continuare.
Morale: ad oggi, nelle condizioni date, per i vaccinati il rischio c’è, ma è accettabile e non porta a chiusure, bensì solo a precauzioni, per i non vaccinati il rischio è ancora alto. Capisco austriaci e tedeschi, che hanno chiuso solo i non vaccinati. Ma penso sarebbe meglio dire: chiunque si sente male sarà soccorso, ovviamente, ma chi necessita di ricovero per covid avendo rifiutato il vaccino sarà chiamato a coprire le spese. Perché la libertà è anche responsabilità e i costi infetti non devono essere scaricati sulle spalle di chi non ha responsabilità ed ha saputo usare con ragione la propria libertà. Che non può restare monca a causa di chi rifiuta la sola precauzione funzionante.
La Ragione