L’energia ha a che vedere con la sovranità. Non si è padroni del proprio futuro, del proprio sistema produttivo, del proprio peso geostrategico, se non si è sovrani nel produrre l’energia indispensabile a far marciare il mondo nel quale viviamo. La sovranità non è isolazionismo, che ne è, semmai, il rattrappirsi, l’accartocciarsi. La sovranità non è il chiudersi al resto del mondo, sicché non è minacciata dagli scambi commerciali, dallo scambio di beni e servizi. Ivi comprese le materie prime energetiche. Il pericolo consiste nel dipendere da chi ha interesse a minacciare e depotenziare la nostra sovranità. Va visto in questa luce il tema dell’energia, non solo con il cuore ecologico e il portafoglio economico. Non solo. È quella luce che aiuta a capire il dibattito che si dispiega in Unione europea. Mentre è curioso che qui da noi lo si consideri una specie di convegno per addetti ai lavori.
Anche Cina e India riconoscono la necessità di andare verso fonti energetiche che inquinino meno, sebbene lo facciano con una tempistica diversa dalla nostra. Già provammo a far osservare, però, che non ha molto senso pensare d’essere i soli con il cuore verde e attribuire agli altri la colpa di sporcare, perché, ad esempio, non solo chi sporcò siamo noi, il mondo più sviluppato, ma ancora oggi la produzione di CO2 pro capite è enormemente più altra da noi che in India. Sicché è difficile spiegare che la colpa è loro. Così come provammo a raccontare che gli obiettivi del Green Deal, non si raggiungono pedalando anziché volare, ma correndo nell’innovazione tecnologica. Quella apertasi è una grande gara alla ricchezza, non al pauperismo bucolico.
Il tema immediato è come trasportare il nostro mondo dalle fonti attuali ai traguardi del 2050. Tenuto anche presente che se il prezzo del gas aumenta lo si deve anche al fatto che milioni di abitazioni cinesi passano dal carbone al gas, talché dovremmo festeggiare quel che, però, ci costa. Senza dimenticare che la grande parte del gas che consumiamo lo importiamo, che è poi la ragione per cui la Russia insiste per aprire i rubinetti del novo gasdotto, a Nord, così aumentando il proprio fatturato, favorendo una discesa del prezzo, ma anche una salita della sua influenza sull’Ue. I tedeschi ci stanno anche perché solo i soci di quel tubo, pur rendendosi conto delle controindicazioni politiche. È qui che la Commissione europea, giustamente, sollecitata dagli interessi francesi, tiene duro sul nucleare: in Europa ci sono 105 centrali attive, che generano il 25% dell’energia elettrica consumata. Noi italiani ne importiamo per il 15%, prodotta con il nucleare. Non abbiamo centrali, ma abbiamo il nucleare. Ci suicidammo come produttori, ma siamo lì come consumatori. Rinunciare, chiudere, sarebbe un allargare all’intera Unione il suicidio italiano. Non paragonabile al tedesco, perché loro hanno ancora centrali attive nel mentre predispongono il maggiore afflusso di gas. Il mix, l’avere diverse fonti, è la sola garanzia di sovranità. Questo è il punto.
Come sarebbe folle chiuderle, è insulso pensare che quelle centrali possano garantire il futuro. Oggi un kilowattora prodotto da nucleare costa poco anche perché la gran parte delle centrali sono vecchie, quindi ammortizzate. La loro età media, in Francia, è di 35 anni. Mentre investire nel nucleare, oggi, a parte i dieci anni necessari per la realizzazione (ci saremo anche fra dieci anni), significa avere un costo decisamente più alto. Quindi: il mix serve per la sovranità, il gas perché è la meno sporca fra le fonti sporche, mentre il futuro è assicurato da maggiori realizzazioni nelle rinnovabili e investimenti nell’innovazione tecnologica.
Vale per l’Ue, ma qui in Italia ci si deve anche chiedere se pensiamo d’essere solo consumatori o se preferiamo, come sarebbe saggio, partecipare alla gara tecnologica. Senza preclusioni, dall’atomico a fusione alle batterie, dall’idrogeno agli impianti delle rinnovabili. Chi non partecipa non è uno spettatore, ma un escluso che ha già perso.
La Ragione