Qual è la situazione degli ebrei in Libia? Come può essere contrastato il crescente antisemitismo in Europa?
Ne hanno parlato: David Gerbi, psicoterapeuta e Presidente di ASTREL (Associazione Salvaguardia Trasmissione Retaggio Ebrei di Libia) e Giulio Terzi di Sant’Agata, ex Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e Membro dell’Advisory Board della Fondazione Luigi Einaudi
Ha condotto: Emanuele Raco, Capo Ufficio Stampa della Fondazione Luigi Einaudi
Il 27 gennaio 2022 si è svolta per la prima volta nella storia della Shoah la cerimonia commemorativa dei 712 ebrei di Libia, vittime della Shoah durante la seconda guerra mondiale. La cerimonia è stata organizzata da ASTREL (Associazione Salvaguardia Trasmissione Retaggio Ebrei di Libia) di cui lei è presidente. Cosa successe durante la Shoah in Libia?
Degli Ebrei presenti nel territorio oggi conosciuto come Libia abbiamo testimonianze di presenza risalenti a circa 2000 anni fa. Le comunità ebraiche di Tripolitania e Cirenaica, territori occupati dal Regno d’Italia nel 1911 e poi trasformati nella cosiddetta “colonia di Libia”, furono tra le più antiche della diaspora ebraica. Erano comunità ben integrate nella società islamica. Inizialmente con la dittatura fascista non subirono gravi ripercussioni, ma con l’emanazione delle leggi razziali la situazione divenne dura e difficile come in Italia. Dal 1938 gli ebrei di Libia furono vittime di discriminazione sia in ambito lavorativo che scolastico e quando l’Italia entrò in guerra subirono molte perdite sui campi di battaglia nordafricani. L’esercito tedesco si insediò in Libia nel 1941 e il regime italiano purtroppo condivise le posizioni antisemite dei nazisti.
Cosa successe nel 1942?
Mussolini nel 1942 operò lo sfollamento degli Ebrei dalla Libia deportandone a migliaia nei campi di concentramento in nord Africa oppure in Italia e da qui inviati ai lager nazisti. Mentre un gran numero di Ebrei della Tripolitania furono obbligati ai lavori forzati per sostenere l’esercito, gli Ebrei di Cirenaica vennero inviati nel Lager di Giado a sud di Tripoli. Giado era un campo di concentramento interamente gestito dal regime fascista: i suoi comandanti e gli agenti di guardia erano in gran parte italiani, coadiuvati da altri agenti di nazionalità araba. A Giado vennero rinchiuse 2.584 persone. La liberazione avvenne grazie all’esercito inglese nel gennaio 1943, ma erano state uccise 562 persone. Fu il campo di concentramento con il maggior numero di caduti del Nordafrica e molte sono le testimonianze di brutalità e violenza subite dai prigionieri.
Come mai degli Ebrei di Libia come entità coesa e con proprie celebrazioni si sente parlare solo a distanza di 55 anni dall’esodo dalla Libia causato dal pogrom del 1967?
Purtroppo gli Ebrei di Libia sono ancora discriminati e non hanno ottenuto il risarcimento dei beni individuali e collettivi confiscati dal governo libico. Non vengono ricordati né in Italia né in Europa. Soltanto in Israele viene fatta una commemorazione per gli ebrei di Libia. La condizione di cittadino dhimmi istituita in nordafrica per definire gli ebrei come cittadini di “seconda classe”, le persecuzioni razziali durante la Shoah in Libia, i pogrom del 1945, del 1948 e del 1967, che ci hanno trasformato in profughi, l’improvvisa povertà scaturita dall’esodo dalla Libia con soltanto 20 £, ha fatto sì che gli ebrei di Libia siano stati sempre in silenzio perché troppo occupati a ricostruirsi una nuova vita ovunque. Gli Ebrei Sefarditi, scacciati dalla Spagna nel 1492, che erano arrivati in Libia e si erano insediati in un clima di tolleranza e coesistenza pacifica, subirono anch’essi discriminazione attraverso la legge del dhimmi e poi vennero perseguitati durante la Shoah dai nazifascisti e successivamente, al pari di tutti gli Ebrei di Libia, furono perseguitati dagli arabi nei pogrom del 1945, 1948 ed infine nel 1967 con il finale esodo di 5000 ebrei.
Quale è stata la loro reazione?
Gli Ebrei di Libia si sono dovuti rimboccare le maniche e ricominciare una nuova vita in Italia, in Israele e in altre parti del mondo. La tipologia degli Ebrei di Libia dal punto di vista psicologico appartiene alla categoria degli ebrei con una forte resilienza e una grandissima fede in D.O. L’incapacità di piangersi addosso e di cercare la la commiserazione altrui hanno fatto sì che si siano ricostruiti una nuova vita ovunque arrivassero. Oggi le comunità di Ebrei di Libia sparse nel mondo è fatta di gente che contribuisce al bene sociale. Ovunque siano arrivati come profughi si sono affermati. La più grande comunità di Ebrei di Libia si trova in Israele e la seconda a Roma.
Da punto di vista psicologico, quale psicanalista, lei cosa pensa?
Ritengo che ci vorranno altre generazioni affinché gli Ebrei di Libia possano liberarsi dell’inconscio collettivo del ruolo di cittadini dhimmi che per secoli hanno subito a causa della legge islamica. È come se non avessero all’interno dell’inconscio collettivo il concetto di avere diritto ad avere diritti umani. In Israele faticano ad ottenere il riconoscimento di comunità ebraica del Nordafrica. Fino ad oggi questa condizione non si è risolta completamente. Si fa fatica ad accettare che la comunità degli Ebrei di Libia abbia avuto 562 vittime nel campo di concentramento di Giado dove c’erano solo italiani fascisti. Per ogni cosa c’è il suo tempo. Adesso gli anziani stanno morendo e abbiamo ancora pochi sopravvissuti della Shoah in vita sparsi nel mondo e noi figli dei sopravvissuti della Shoah abbiamo il dovere di raccogliere le loro testimonianze affinché a causa del negazionismo non venga dimenticato questo dramma dell’umanità.
È la prima volta che si commemorano le vittime Ebrei di Libia in Italia?
Assolutamente sì, e possiamo dire anche in Europa e in America. Quest’anno per volontà della nostra Associazione abbiamo organizzato una Cerimonia per commemorare, per la prima volta, presso il Monumento degli Ebrei di Libia al Verano, i nostri caduti vittime della Shoah, alla presenza di molte personalità tra cui l’ambasciatore Giulio Terzi. La nostra Associazione vuole portare voce alle 562 vittime della Shoah degli Ebrei di Libia perché non svanisca il loro ricordo. Abbiamo scelto il 27 gennaio, Giorno della Memoria, che è una ricorrenza internazionale designata dall’ONU per commemorare le vittime dell’Olocausto e quindi poter avere maggiore ascolto.
Come sono riconosciuti gli Ebrei di Libia in Israele e nei paesi come l’Italia dove le loro famiglie a causa del Pogrom si sono insediate?
Purtroppo siamo una minoranza all’interno di una minoranza. Grandi lavoratori, grandi studiosi, inventori, accademici, professionisti, commercianti, imprenditori, scienziati e anche politici appartengono al mondo degli ebrei di Libia. Purtroppo ancora non cittadini a pieno diritto perché abbiamo trascinato con noi le conseguenze della legislatura. Conseguenze prima della legge islamica, poi della cacciata degli ebrei dalla Spagna, e dell’accoglienza poi trasformata in persecuzione in Libia e infine perseguitati dai fascisti e poi profughi. Ogni vita ha un valore. C’è scritto che chi ammazza una persona è come se ammazzasse il mondo intero, e chi salva una persona e come salvasse il mondo intero. Ritengo importante ed indispensabile che venga riconosciuta anche la tragedia vissuta dagli Ebrei di Libia.
Qual è la storia degli Ebrei di Libia secondo lo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah?
Lo Yad Vashem dice: Non un solo ebreo è rimasto in Libia oggi. Sebbene la Libia sia stata la patria di una comunità ebraica per migliaia di anni, e sebbene gli ebrei abbiano vissuto sotto il dominio greco, romano, ottomano, italiano, britannico e arabo, non esiste più traccia di questa comunità un tempo fiorente. La storia moderna della Libia può essere datata dal 1911, quando la Libia divenne una colonia italiana. Infatti, il fatto che la Libia fosse una colonia italiana e non cadesse sotto il regime di Vichy in Francia, rese il destino degli ebrei della Libia diverso da quello degli ebrei di Algeria, Marocco e Tunisia. All’inizio del XX secolo, gran parte della popolazione della Libia era islamica e tribale ed era contraria al colonialismo europeo. Tuttavia, sotto gli italiani, gli ebrei furono trattati relativamente bene.
Quanti erano e dove vivevano?
Nel 1911 c’erano circa 21.000 ebrei nel paese (il 4% della popolazione totale di 550.000), la maggioranza dei quali viveva a Tripoli. Un numero minore viveva anche a Bengasi. In queste città vivevano tra gli arabi e gli europei. Gli ebrei vivevano anche in città, fattorie e villaggi; anche nelle grotte. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, 30.387 ebrei vivevano in Libia. L’inizio della fine per gli ebrei della Libia fu l’istituzione di una legislazione dura e discriminatoria da parte dell’Italia nei confronti dei propri ebrei nel 1938.
Che fu attuata anche in Libia?
Questa legislazione, nota come “Leggi sulla protezione della razza” fascista, fu istituita anche in Libia, sebbene fosse non applicata in pratica fino alla morte di Italo Balbo, governatore fascista della Libia, nel 1940. Queste leggi hanno inferto un duro colpo alla comunità ebraica della Libia. Gli ebrei non potevano più mandare i propri figli nelle scuole italiane pubbliche o private. I matrimoni misti tra “ariani” e “non ariani” divennero illegali. Gli ebrei erano esclusi da qualsiasi impiego statale così come dalle professioni qualificate. I passaporti ebrei dovevano essere timbrati “razza ebraica”. Nonostante queste battute d’arresto alla fine degli anni ‘30, la popolazione di Tripoli rimase per il 25% ebrea nel 1941, con 44 sinagoghe al servizio dei bisogni della popolazione ebraica.
Che successe con la guerra?
La guerra raggiunse la Libia nell’autunno del 1940, quando l’Italia attaccò l’Egitto influenzato dagli inglesi dalle basi in Libia. Questa campagna fu una sconfitta disastrosa per l’Italia e gli inglesi entrarono in Libia. I tedeschi schierarono le loro truppe in Libia nel 1941 e cacciarono gli inglesi dalla Libia, ma il fronte passò di mano cinque volte tra il dicembre 1940 e il gennaio 1943, come descritto da Benjamin Doron. La regione della Cirenaica in Libia, e in particolare Bengasi, subì l’impatto dei continui combattimenti: due volte l’esercito britannico conquistò la Libia e due volte fu respinto dalle truppe italiane e tedesche. Nella città di Tripoli, il quartiere ebraico era spesso utilizzato per postazioni antiaeree italiane. In quanto tale, fu oggetto di massicci bombardamenti da parte di inglesi e francesi; in un attacco furono distrutte 4 sinagoghe e uccisi 30 ebrei. In altri attentati il cimitero ebraico, utilizzato anche dall’esercito italiano per posizionare i propri cannoni antiaerei, fu danneggiato; le tombe furono spogliate delle loro lapidi per costruire fortificazioni.
Com’era invece il rapporto con i britannici?
Ogni volta che l’esercito britannico entrava in Libia, gli ebrei mostravano loro un sostegno entusiasta, poiché durante le loro conquiste non venivano applicate le leggi discriminatorie sulla razza. Ma ogni volta che la Libia veniva riconquistata dagli italiani, gli ebrei venivano puniti severamente per la loro cosiddetta “collaborazione” con il nemico.
Quando tornarono i fascisti?
Nel 1942 gli italiani, che avevano già deciso di adottare una politica più radicale contro gli ebrei, usarono l’accoglienza entusiastica dei soldati alleati da parte della comunità ebraica come pretesto per punire gli ebrei della Libia per il loro tradimento. Mussolini decise di disperdere o rimuovere gli ebrei libici; questa campagna si chiamava “sfollamento”. Lo sfollamento degli ebrei libici era diverso a seconda della zona in cui vivevano. Nella zona della Cirenaica, gli ebrei erano divisi in tre gruppi in base alla loro cittadinanza: Gli ebrei con cittadinanza francese o sotto protezione tunisina dovevano essere inviati nei campi di concentramento in Algeria e Tunisia; gli ebrei con cittadinanza britannica dovevano essere inviati nei campi in Europa. Sebbene inizialmente furono gettati nei campi di detenzione in Italia, una volta che i tedeschi occuparono l’Italia nel 1943 furono portati a Bergen Belsen, in Germania, e a Innsbruck-Reichenau, un’affiliata di Dachau, in Austria. Gli ebrei con cittadinanza libica, in particolare quelli della Cirenaica, dovevano essere deportati nei campi di concentramento della Tripolitania, il più famigerato dei quali era Giado (Jado). Per gli ebrei della Tripolitania la situazione era diversa.
Ci spieghi.
Solo coloro che detenevano la cittadinanza britannica o francese furono deportati con gli ebrei della Cirenaica a Jado. Agli ebrei libici di questa zona fu invece richiesto di fornire lavoratori per i campi di lavoro nelle vicinanze, come i campi di Sidi Azzaz e Buq Buq. Circa 3.000 ebrei libici furono spediti in questi campi, dove il loro lavoro fu utilizzato per costruire strade e le ferrovie necessarie per spostare i rifornimenti di guerra al fronte. Sebbene le condizioni di vita in questi campi fossero precarie, cibo e assistenza medica adeguati venivano ricevuti regolarmente.
A Giado, invece?
Giado (o Jado), al confine del deserto, 235 chilometri a sud di Tripoli, era il più brutale dei campi in Libia. Jado era un ex accampamento militare, circondato da un recinto di filo spinato. I suoi comandanti erano italiani e le guardie erano poliziotti italiani e arabi. Nel giugno 1942 gli italiani avevano deportato, a tappe, un totale di 2.584 ebrei a Jado; tutti tranne 47 di loro erano ebrei libici. Le condizioni di vita nel campo erano miserevoli. Il campo era sovraffollato: decine di famiglie dormivano in uno spazio di quattro metri e separate solo da lenzuola e coperte. Le razioni alimentari giornaliere consistevano in pochi grammi di riso, olio, zucchero e sostituti del caffè. Gli uomini di età superiore ai 18 anni venivano mandati ogni giorno ai lavori forzati. La carenza d’acqua, la malnutrizione, il sovraffollamento e la sporcizia hanno intensificato la diffusione di malattie contagiose. I detenuti hanno seppellito i morti in un cimitero su una collina fuori dal campo che era stato un antico cimitero ebraico.
Gli italiani, purtroppo, furono quelli che si comportarono peggio.
Oltre a questa miserabile esistenza, le guardie italiane del campo si divertivano ad umiliare gli ebrei. Dei quasi 2.600 ebrei inviati a Jado, 562 ebrei morirono di debolezza e fame, e soprattutto di febbre tifoide e tifo. Questo fu il numero più alto di vittime ebree nei paesi islamici durante la seconda guerra mondiale. Nel gennaio 1943 le guardie del campo se ne andarono. Diverse settimane dopo arrivarono i soldati britannici, ma molti dei prigionieri non potevano essere spostati a causa delle loro cattive condizioni fisiche. I primi ebrei tornarono alle loro case da Jado nella primavera del 1943 e l’ultimo gruppo di prigionieri lasciò Jado solo nell’ottobre del 1943. L’idea stessa di essere mandato nel campo di Jado terrorizzò gli ebrei della Cirenaica. Ogni due settimane, gli oppressori affiggevano nelle sinagoghe un elenco delle famiglie che dovevano prepararsi alla partenza. Siamo stati portati in camion merci in un viaggio di cinque giorni. Di notte abbiamo dormito sotto le stelle. In tutto sono state portate via 2600 persone.
Vuole riportarci una testimonianza?
Quella di Vivian Varda e sua sorella Yvonne: Avevo 18 anni all’epoca. Siamo stati costretti a lavorare per 12 ore di fila, senza sosta, zappando e trasportando terra. È evidente che con il magro cibo ricevuto e il lavoro massacrante potevamo aspettarci una morte lenta e tortuosa (come nei campi di lavoro in Europa). Abbiamo organizzato una delegazione di ebrei per andare dal comandante e chiedere razioni maggiori. L’ufficiale ha riso di noi e ha detto: “Non ti abbiamo portato qui per supportarti. Semplicemente non volevamo sprecare proiettili su di te. Ora torna al lavoro!”
Come andò agli ebrei britannici inviati in Italia?
Quanto ai 2.000 cittadini britannici inviati in Italia, 870 di loro erano ebrei. Sebbene fossero trattati relativamente bene nei centri di detenzione in Italia tra i quali erano sparsi, questa situazione cambiò radicalmente dopo l’8 settembre 1943, quando i tedeschi occuparono l’Italia dopo che si era arresa agli Alleati. Nel 1944, la maggior parte di loro fu inviata a Bergen Belsen.
Qual era l’elemento che distingueva gli ebrei libici?
Una delle caratteristiche uniche degli ebrei libici inviati nei campi in Europa, e qualcosa che impressionò gli altri prigionieri dei campi, fu che mantennero la loro solidarietà di gruppo e, sebbene fosse difficile, mantennero anche il loro kashrut. Tutti gli ebrei libici inviati a Bergen Belsen riuscirono a sopravvivere.
Come andò dopo la liberazione?
Tripoli fu liberata dagli inglesi il 23 gennaio 1943 e Jado fu liberato il giorno successivo. Una volta liberata la Libia, le leggi razziali contro gli ebrei furono abrogate. Tuttavia, le condizioni per gli ebrei non migliorarono molto. Nel novembre del 1945 ci fu un feroce pogrom di tre giorni contro gli ebrei a Tripoli: 120 ebrei furono assassinati, altri centinaia furono feriti e almeno cinque sinagoghe furono completamente distrutte. I rivoltosi non solo hanno distrutto e saccheggiato le sinagoghe della città, ma hanno anche rovinato centinaia di case e attività commerciali. Sempre nel 1948, in coincidenza con la dichiarazione dello Stato di Israele, l’antisemitismo aumentò e i rivoltosi uccisero 12 ebrei e distrussero 280 case Questa volta, però, gli ebrei reagirono e prevennero ancora più morti e feriti.
Cosa avvenne a causa di questo dilagante antisemitismo?
30.972 ebrei immigrarono in Israele. Una nuova legge nel 1961 richiedeva un permesso speciale per provare la cittadinanza libica. Praticamente a tutti gli ebrei fu negato questo permesso. Nel 1967 la popolazione ebraica era scesa a 7.000. Dopo la Guerra dei Sei Giorni di Israele, sono ricominciate le rivolte antisemite. Il re di Libia, così come i leader ebrei, esortò i restanti ebrei libici a emigrare. Un ponte aereo italiano salvò 6.000 ebrei e li trasferì a Roma, anche se furono costretti a lasciare case, attività commerciali e possedimenti. Nel 1969, quando Muammar al-Gheddafi salì al potere, c’erano solo 100 ebrei rimasti in Libia. Il suo governo confiscò tutte le proprietà ebraiche, annullò il debito ebraico e rese legalmente vietata l’emigrazione per gli ebrei. Alcuni ebrei riuscirono comunque a uscirne. Nel 2004 non c’erano più ebrei in Libia.
Gli Ebrei di Libia hanno conservato una loro “individualità” o si sono integrati nelle comunità dove si sono inseriti pur mantenendo alcune delle loro tradizioni, come la cucina e alcune festività? Oppure stanno scomparendo a causa del tempo che passa?
Fatichiamo molto a mantenere la nostra identità. A Roma esiste un mondo poco conosciuto nella zona di Piazza Bologna dove ci sono quattro sinagoghe di origine libica e vengono cucinati cibi tradizionali nei ristoranti degli ebrei di Libia. Nelle sinagoghe si usa ancora il canto con una liturgia libica, si studia la Torà con tanto impegno e anche con maestri che vengono apposta da Israele. Difficile mantenere la propria specificità perché non viviamo in Libia e quindi non si parla più la lingua araba tripolino bengasina. Il pericolo è quello di essere inglobati in una cultura che appiattisce tutto, però ci stiamo impegnando sempre di più per preservare il retaggio degli Ebrei di Libia. Non è un caso che l’associazione si chiami ASTREL che è acronimo di associazione salvaguardia trasmissione retaggio degli Ebrei di Libia.
Perché ha ritenuto indispensabile fondare una associazione per preservare il retaggio degli Ebrei di Libia?
Perché mi sono reso conto che a distanza di 55 anni stia sbiadendo l’identità ebraica libica. Ho proposto alle scuole ebraiche della comunità ebraica di Roma di inserire nel programma scolastico la storia degli ebrei di Libia in cui devono essere incluse tradizioni, canti, usi, costumi e addirittura la cucina e il rituali delle festività ebraiche libiche, ma finora questo sogno non si è realizzato. Ho provato a chiedere sostegno affinché venisse istituito anche nel giorno della Shoah una commemorazione per le vittime degli ebrei di Libia. Purtroppo all’interno della comunità ebraica di Roma non siamo inclusi durante le commemorazioni istituzionali.
Sarebbe importante che ciò avvenisse.
Si, affinché non ci sia una sorta di dimenticanza o di oblio di questa parte importantissima della storia. Come ha detto il Rav Riccardo Di Segni “…il negazionismo va a braccetto con l’oblio. Il negazionismo è uno strumento di odio, funzionale alla discolpa dei carnefici; se i fatti non sono avvenuti non c’è carnefice e non c’è vittima.” E ancora: “…Si combatte il negazionismo ricordando. Se pensiamo a quante cose dovremmo ricordare della storia di questo Paese, e che sono volutamente cancellate, vengono i brividi. Un esempio tra i tanti, quando si parla delle deportazioni e dei lager nazisti, poco si sa dei loro tristi progenitori, i misfatti della Libia delle campagne fasciste contro i ribelli…”. Nella comunità ebraica di Roma vengono ricordati i deportati di Rodi, ma non vengono ricordati i deportati degli ebrei di Libia.
Quali sono i punti di forza degli Ebrei di Libia?
Appena arrivati dalla Libia siamo stati accolti con iniziale riluttanza dalla comunità ebraica di Roma ma via via con maggiore benevolenza. Nel tempo gli Ebrei di Libia hanno cominciato a fiorire proprio per dare espressione massima alla libertà di autodeterminarsi ciò che non avrebbero potuto certamente fare in Libia. Dal punto di vista psicologico questa posizione di cittadino dhimmi a mio avviso è ancora presente. Sono passati 55 anni da quando siamo arrivati in Italia con un bagaglio stupendo legato ai nostri rabbini, alla nostra fede e alla profonda convinzione religiosa e osservanza dei precetti ebraici. Siamo arrivati con una ricchezza immensa interiore ma assolutamente senza alcuna ricchezza materiale. Ciò ci ha reso tenaci nel volercela fare e levarci dalle spalle il marchio di cittadino dhimmi, il ruolo di perseguitato durante la Shoah, il ruolo di perseguitato durante i pogrom e il ruolo di profugo. Certo tutto ciò ha indebolito dal punto di vista psicologico la psiche collettiva degli Ebrei di Libia ma da un altro punto di vista ci ha rafforzato.
Ci fa un paragone?
Un bruco sta dentro il baco da seta e ci sta per un lungo tempo. Poi piano piano, attraverso la forza delle ali, riesce a uscirne. Il tempo di formazione della seta del bozzolo equivale a come siamo stati noi in questo lungo tempo. Una volta aperto il bozzolo la farfalla esce e vola via. Non cammina, non striscia, ma vola e credo che gli ebrei di Libia si siano talmente fortificati che dopo tanto tempo oggi riescono veramente a volare in alto. Una comunità bella che vola e che porta il bello ovunque con la propria presenza. Anche in Israele c’è discriminazione nei riguardi degli Ebrei di Libia considerati inferiori rispetto agli ebrei di origine europea. Oggi gli Ebrei di Libia posseggono il passaporto italiano, il passaporto israeliano e le nuove generazioni tendono a non sentire più questa differenza.
Che rapporto hanno i giovani discendenti degli Ebrei di Libia con il loro retaggio? Sono orgogliosi di far parte di questo popolo?
Sono molto orgogliosi e vorrebbero saperne molto di più, ma purtroppo non è facile perché si rischia di essere inglobati attraverso la scuola ebraica soltanto negli usi e costumi della comunità ebraica di Roma. Per questo non resta altro che la conoscenza delle proprie radici trasmessa attraverso i racconti e gli usi dei genitori di origine libica. Spesso le nuove coppie sono formate da genitori di origine libica e di origine italiana quindi si rischia di perdere la specificità degli ebrei di Libia. Ma è come se fosse un impasto di due identità e non un’integrazione di due identità perché c’è uno squilibrio totale se i bambini di origine libica studiano soltanto con i rabbini che insegnano la liturgia attraverso il rito romano e non quello libico. A questo punto se non si trova un rimedio la fine di un retaggio è quasi inevitabile come e successo con la scuola siciliana a Roma che adesso è scomparsa.
Quali erano a Roma le cinque scuole ebraiche?
A Roma le cinque scuole ebraiche, ovvero le cinque sinagoghe, avevano sede nel grande edificio che insiste oggi su Piazza delle Cinque Scole. Le cinque scuole erano: la Scola Nova, la Scola del Tempio, la Siciliana, di rito italiano, la Castigliana, di rito spagnolo, e la Catalana, la più importante dal punto di vista architettonico, costruita da Girolamo Rainaldi nel 1628. Intorno a ciascuna sinagoga si raccoglieva una comunità ebraica che si differenziava dalle altre in base alla provenienza e anche, in parte nel rito. La Scola del Tempio ad esempio era frequentata dagli ebrei locali, la Scola Nova da quelli che venivano dai piccoli centri del Lazio, quella Siciliana era per gli Ebrei profughi dall’Italia meridionale, mentre quella Catalana e quella Castigliana era per gli Ebrei profughi dalla Spagna. Queste ultime tre sinagoghe seguivano il rito sefardita. L’arrivo delle tre comunità di rito sefardita dalla Spagna, dalla Sicilia e dal Portogallo risale al 1492.
Il vostro obiettivo in particolare sono i giovani.
Dobbiamo trovare il modo di far inorgoglire i giovani della propria identità. La storia degli ebrei di Libia deve essere raccontata e trasmessa, specialmente ai giovani, in modo tale che saranno loro stessi a trasmetterlo ai loro figli. Se non si trova il modo di preservare l’identità potrebbe crearsi una crepa e poi una spaccatura con la comunità ebraica di Roma, come è successo a Milano con la comunità dei persiani e dei libanesi che si sono resi autonomi per non essere inglobati nella comunità italiana di Milano. È importante che venga preservato il nostro retaggio. La missione di ASTREL è che la comunità ebraica di Libia non faccia la stessa fine di quella siciliana che è scomparsa, ma che venga integrata arricchendo attraverso la diversità l’intera comunità ebraica di Roma. Questo e ciò che mi auguro possa accadere attraverso programmi educativi.