Senza una patria non si conosce la felicità di essere cosmopoliti
Emilio Salgari, geniale creatore di Sandokan, scrisse i suoi romanzi d’avventura ambientati in Malesia senza uscir mai dai confini dell’Italia. Socrate, non si mosse mai da Atene ma ci ha dato il concetto, lo stato e l’anima che se non sono tutta la nostra civiltà poco ci manca. Kant non lasciò mai Konigsberg ma ci insegna sempre ad avere il coraggio di servirci della nostra intelligenza per non essere servi. Leopardi, dopo aver scritto “L’infinito”, finalmente riuscì a lasciare la sua Recanati ma troppo tardi e rimase deluso dal resto del mondo, eccezion fatta forse per Napoli, il golfo, la ginestra e i confetti.
Perché si può andare dove si vuole ma se non ci si porta dietro un mondo non si riuscirà mai a vedere un altro mondo. Noi, spesso e volentieri, cerchiamo un paese nel mondo ma faremmo meglio a cercare un mondo in un paese.
Viene in mente la frase di Montaigne che Lello (Arena) dice a Gaetano (Massimo Troisi) nel film “Ricomincio da tre”: «Chi parte sa dache cosa fugge, ma non sa che cosa cerca».
Un paese serve, non foss’altro che per perdersi e ritrovare la via di casa. Un paese serve per non essere spaesati. Un paese serve per poter visitare altri paesi. Alla fin fine un paese serve anche per essere cosmopoliti.
Un liberale come Isaiah Berlin, ad esempio, lo sapeva molto bene: anche per essere liberi è necessario appartenere a qualcosa, a qualcuno, avere una terra, una casa, dei morti.
C’è stato un tempo in cui il liberalismo andava d’amore e d’accordo con il patriottismo per ché in ogni patria vedeva una possibilità di libertà e di umanità che, a ben vedere, sono i presupposti senza i quali non c’è nemmeno verità.
Parola, quest’ultima, da usare con cautela ma volendola declinare sul piano politico e morale significa “ricerca della felicità” ossia governo di sé con sofferenze e gioie, prove e cadute e ricadute e riprove. Vita natural durante.
Oggi la parola patria sembra esser tornata di moda ma la cosa importante della patria è proprio che non sia una moda. C’è una bella pagina di Croce che è intitolata così: “Una parola desueta: l’amor di patria”. Perché desueta? Perché antica. Dal vago sapore ottocentesco. Come i romanzi di Salgari. Perché è una parola seria che evoca sacrifici, lutti, conquiste. Perché la si ritiene superata in favore di astratti furori e ideali internazionalistici che, però, senza una patria non tardano a rivelarsi vuoti.
Come la nostra cara vecchia Europa che è già tutta nella “cura dell’anima” di Socrate ma che bisogna sempre daccapo imparare ad abitare per stare al mondo.