L’azione criminale della Russia ha allargato la già ampia maggioranza di governo. Sulla questione oggi più importante, nel mentre l’Unione europea e l’Occidente si schierano compatti contro la guerra imperialista dei russi, anche l’opposizione di destra converge con le scelte del governo italiano. È un passaggio molto importante e positivo, sul quale si potrebbe e dovrebbe costruire un mondo politico che rimanga diviso su molte questioni (ci mancherebbe), ma sappia riconoscere i temi sui quali dividersi significa nuocere agli interessi indisponibili dell’Italia.
Può essere sgradevole, ma è normale che mentre questo accade si verifichino anche casi di divisioni pretestuose, fra le forze politiche. Il che capita ora prevalentemente a destra, ma sol perché in quel presunto (molto presunto) schieramento c’è chi sta al governo e chi fa concorrenza dall’esterno. Capitava alla sinistra, quando si trovava in quella condizione. Il punto non è che sia gradevole o meno, ma che è in larga parte irragionevole. Non ci interessano qui le specifiche posizioni di ciascuno, ma il complesso di una scena che sembra nascere da un equivoco, dall’idea che si possa disporre di Draghi purché non somigli troppo a Draghi. Come se si volesse una specie di Draghi dedraghizzato. Il che non è giusto o sbagliato, è sciocco.
Le personalizzazioni sono sempre degli errori. La ragione è offuscata dalle simpatie come dalle antipatie. L’eccesso di personalizzazione, inoltre, porta a egolatrie deliranti, talora oltre la soglia clinica. Ma, insomma, a volere proprio semplificare, perché si ripete, con insulsa formula, che Mario Draghi “gode di grande prestigio internazionale”? Da che deriva? Fa premio su tutto il modo in cui fu affrontata la speculazione contro l’euro, nel 2012, quando l’allora presidente della Banca centrale europea disse che si sarebbe fatto tutto il necessario per tutelare la moneta unica. Laddove s’è diffuso il vezzo di ripetere quella frase in inglese, s’è colpevolmente persa la memoria di quella immediatamente successiva, rivolta agli speculatori: credetemi, sarà sufficiente. Come a dire: provateci e vi spaccherete le corna.
Bene. Evviva. Ciò significa, però, che in una legislatura avviata nel segno dell’orgia trasformista, con due governi all’ipogeo della credibilità, quando arruoli Draghi lo fai per avere a difesa dell’Italia quel che si vide a difesa dell’euro. Tanto che i partecipanti all’orgia, una volta insediatolo, hanno ripetuto qualche milione di volte che va rafforzato e non indebolito. Non per lucidità o altruismo, ma perché sanno che raccontare agli italiani che ce ne siamo liberati incontrerebbe l’entusiasmo solo degli esaltati. Enunciato quel principio, però, si passa subito a fare il contrario. Chi cercando temi su cui dissentire per distinguersi, chi approfittando di questa infantile pretesa per indicare alla maestra il fiocco sfatto del colpevole. Una scena che testimonia difficoltà serie di comprendonio.
La convinzione che un nome sia una garanzia, che voglia dire qualità e che su quello non si possa osare, oltre a dimostrare che molti si sono formati solo sulle pubblicità, riporta ad un poderoso fraintendimento: la speculazione non si fermò perché Draghi le fece le boccacce, ma perché la Bce fu coerente e conseguente. La Bce, del resto, non è un brocco mansueto che s’adegua al morso del poderoso fantino, ma un consesso ove sono rappresentati interessi e politiche. Fa ridere (di pietà) chi descrive Draghi come un non politico, perché ha svolto il più politico dei ruoli. Non è un partitante. Solo che la mediazione si fa fra politiche e interessi, mica su capricci e ripicche.
Il paradosso, alla fine, sarà che mentre il governo rimane al suo posto, mentre quel che accade nel mondo suggerisce la continuità, mentre la maggioranza s’allarga sulle cose più importanti, gli elettori che vorranno votare a favore del governo non sapranno dove mettere la croce. Un collettivo scrociarsi politico.
La Ragione