Rallentati

Rallentati

Memoria corta e occhio miope. Capricciosa pretesa che tutto si svolga nel presente, senza un passato da redimere, senza un futuro da propiziare. Ipocrita speranza di far credere che una sola sia la causa dei mali, accuratamente scegliendola lontana da sé: ieri era di moda l’euro, oggi la guerra. A tutto si è disposti, fino ad umiliare il buon senso, pur di non fare i conti con le bubbole di stagione, cangevoli come i loro trasformisti propalatori.

Il mondo rallenta, noi lo seguivamo al rallentatore e ora rischiamo di fermarci. Le cause del rallentamento sono diverse: in Cina pesa la pandemia e gli errori su quel fronte commessi, in Unione europea pesa la guerra. Ma son cose che dimostrano il contrario di quel che si pretende. La Cina fa i conti con una strategia “zero covid” che è stata messa in ginocchio dalle varianti più contagiose, giunte a colpire una popolazione vaccinata in modo inefficace. Da noi l’argine dei vaccini regge, perché erano migliori (anche nel loro contenuto sociale, culturale ed economico). Vedremo in autunno, ma ora, con la pandemia ancora in corso, non subiamo danni economici. Prodotti invece dalla guerra. Non dalle sanzioni. Questo capovolgimento logico è insensato: l’alternativa al mettere le sanzioni non è sbracare e capitolare, operazioni comunque costosissime, oltre che immorali, ma guerreggiare. Degli spiragli ci sono, ma proprio perché s’è messa in campo la forza del sostegno agli ucraini.

Si guardino i dati economici: se si vuole porre rimedio ai notevoli guasti italiani, si deve usare la memoria e avere uno sguardo più lungo. Nell’Eurozona siamo quelli cresciuti meno rispetto al 2019, con la media dell’area che sta al triplo della nostra (1.1 noi, 3.4 i Paesi dell’euro). Nel 2019, del resto, eravamo i soli a non avere recuperato le posizioni del 2008. Ora la Commissione europea calcola un rallentamento europeo per l’anno in corso, rispetto alle precedenti previsioni (dal 4% al 2.7) e per il 2023 (dal 2.7 al 2.3). In casa nostra la crescita ora prevista è pari al 2.4 per quest’anno (era 4.1) e 1.9 per il 2023 (era 2.3). Questo significa che torniamo a crescere meno della media dell’area, anzi che praticamente non cresciamo, visto che il segno positivo di quest’anno lo dobbiamo alla crescita acquisita l’anno scorso. Il tutto mentre siamo il Paese più favorito dalle scelte economiche europee. Se vogliamo credere che ciò sia un derivato delle sanzioni sul gas accomodiamoci, ma significa prendersi per fessi da sé soli.

Basta dare un’occhiata allo spread dello spread, ovvero al differenziale dei tassi sul debito non solo rispetto alla Germania, ma anche rispetto alla Spagna o al Portogallo: noi siamo percepiti come un pericolo maggiore, pur essendo un’economia più grossa. E lo siamo non solo perché anche il debito è più grosso, ma perché quei Paesi hanno già fatto riforme che da noi ancora si attendono. L’Italia si trascina da molti anni un terrificante deficit politico, di capacità e intelligenza politica, che si riflette in ostacolo alla crescita. E, del resto, siamo qui che parliamo animatamente dei balneari (poi passeremo ai bagnanti, senza coerenza), ignorando la loro stessa soddisfazione per le norme europee (che vanno benissimo) e con questo rallentando la legge sulla concorrenza. E quando la sbloccheremo, dopo lunga pena, apriremo altri fronti sul nulla propagandistico. Al punto che si spacciano per epocali delle riformine.

In quel che resta della legislatura il governo può ancora fare molto, ha ragione il consigliere delegato di Banca Intesa, Carlo Messina, ma non può né potrà mai fare il mestiere del Parlamento. Anche perché dei civil servant non possono fare il mestiere dei politici. Se si resta fermi in una stagione di crescita e finanziamenti europei poi si rincula, si va indietro. Ma vuoi mettere la soddisfazione di trovare sempre nuovi colpevoli per restare sempre i vecchi irresponsabili.

La Ragione

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