Su Falcone e Borsellino il problema non è solo quello dei depistaggi, ma anche quello di un inquinamento della memoria…
Già c’erano state le celebrazioni, come ogni anno improntate ad una insopportabile ipocrisia; poi sono arrivate anche le inchieste, le rivelazioni, i retroscena fin qui taciuti, ovvero delle intemerate giornalistiche, che sono dei copia incolla di carte già smentite negli anni passati.
Allora il problema attorno alle figure di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino non è solo il tema dei depistaggi giudiziari. Per quel che riguarda, per esempio, la morte di Borsellino è in corso un processo a Caltanissetta e, naturalmente, noi, essendo rispettosi del diritto, attendiamo di sapere se quel processo giungerà a delle condanne a carico di ipotetici depistatori.
Infatti, siamo già assolutamente certi che ci sia stato un depistaggio di quelle indagini, perché già si celebrarono dei processi che portarono alle condanne in primo grado, in secondo grado e, infine, validate dalla Cassazione, rivelatesi delle bufale totali, tant’è che dovettero essere cancellati: arrivò un pentito vero, mentre il primo era falso e non era assolutamente l’unico.
Al pentito falso avevano creduto ed aveva portato la giustizia su un binario morto: ora il problema, dicevo, non è solamente quello dei depistaggi giudiziari – che devono essere risolti in sede giudiziaria – il problema è quello di un inquinamento, di una corruzione della memoria: queste robe giornalistiche contribuiscono a corrompere e ad inquinare la memoria.
Noi, nella nostra memoria collettiva, dobbiamo tenere alcuni punti fermi, che nessuno è in grado di smentire, perché sono delle conclamate verità. Tutta questa pagliacciata delle nuove rivelazioni serve ad occultare e a confondere le conclamate verità.
La verità fondamentale è che prima Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino furono isolati e messi nelle condizioni di non poter assolvere ai loro doveri, di non potere fare le indagini, di non potere combattere la mafia e i suoi addentellati dalla magistratura, dai loro colleghi magistrati.
Giovanni Falcone arrivò ad essere portato davanti al CSM in stato di incolpazione: doveva scusarsi, doveva dimostrare di essere una persona perbene. Furono totalmente isolati e messi nella condizione di non poter agire.
Poi, dopo la morte, gli stessi che li avevano messi in quelle condizioni hanno cominciato a sfilare e a considerarli maestre e grandi esempi. Loro li avevano bloccati.
Tra le cose che furono bloccate è conclamata verità l’inchiesta “mafia-appalti”: non solo, ma quando Paolo Borsellino chiese di potere continuare il lavoro del defunto Falcone sull’inchiesta “mafia-appalti” gli fu risposto di no e gli fu dato il via libera il giorno stesso in cui fu ucciso. Anzi, dopo due giorni dalla sua morte l’intera inchiesta “mafia-appalti” è stata smembrata e archiviata nei palazzi della giustizia, non nei vicoli della mafia. Questa è una verità conclamata.
Un pentito che, successivamente, si rivelò essere molto importante chiese di parlare solo con il Procuratore Borsellino. Dal Capo della Procura di Palermo gli fu data l’autorizzazione ad andarci, ma alla condizione che non ponesse domande. Surreale! Doveva ascoltare, ma non poteva fare domande.
Questa è la realtà dei fatti! Dopodiché possiamo guardare nelle carte giudiziarie il mandante, l’esecutore, la meccanica, tutto quello che volete. Ma la pagliacciata del non detto e del nascosto serve a nascondere l’evidente e il dimostrato.
Poi ci furono coperture politiche? Perché c’è qualcuno in circolazione disposto a credere che le correnti della magistratura non siano politicizzate? Sono quelle sono quelle e non altro che hanno messo Falcone e Borsellino nelle condizioni di non poter agire.
Il resto lo scriviamo nella storia, ma, nel frattempo, non con rompiamola.