L’accordo preliminare per la creazione di una rete unica di telecomunicazioni è presentato come un successo, ma nasce da due fallimenti. Brutali. I consigli d’amministrazione di Tim e Cassa depositi e prestiti hanno dato il via libera alla costruzione di una società unica, portando il negoziato nella sua fase concreta e conclusiva, dopo la via occlusa dalle precedenti pretese. Insomma, siamo a questo punto non per volontà, ma per incapacità. Vediamo come non offendere ulteriormente l’interesse generale.
I fallimenti precedenti sono responsabilità dello Stato e dell’imprenditoria privata. Lo Stato era azionista prevalente di un gruppo multinazionale all’avanguardia tecnologica e poco indebitato. Era giusto cedere il controllo, ma lo si fece con la peggiore (e falsa) “privatizzazione” mai vista. Nel giro di qualche mese lo Stato avallò la violazione delle regole che lo Stato aveva dettato. Una porcheria. L’impresa privata che giunse fu prima imbelle (stagione Fiat) poi predatoria (stagione “capitani coraggiosi”). Peggio di una porcheria. Quel che era stato costruito con i soldi degli italiani fu demolito portando soldi all’estro. Quel che era all’avanguardia divenne scassata retroguardia. Oggi abbiamo una penetrazione di reti in fibra, fino alle abitazioni, pari al 25%, mentre la media europea è al 50%. Il doppio.
Non contenti si consentì ad Enel di provare a riportare lo Stato nelle Tlc, creando Wind per fare concorrenza a Telecom. Un’altra montagna di soldi buttati. Nel frattempo la rete deperiva nella pancia di Tim, che certo non poteva cederla senza cedere sotto il peso di un indebitamento mostruoso. Per ringraziarli di tali prestazioni si premiavano gli amministratori delegati con soldi che ne riconoscevano la ragguardevole prestazione.
Nel 2016 il governo Renzi reagisce al rifiuto di Tim di dare il via libera alla rete unica sviluppandone una seconda, naturalmente a spese statali, per il tramite di Enel, che crea Open Fiber. Nel frattempo, per reggere i debiti, Tim scorpora la rete secondaria e la mette in una propria società, FiberCop, vendendo quote al fondo Usa Kkr (37.5%) e Fastweb (4.5). Per fare la rete unica oggi si tratta con tutti loro, oltre che con il fondo Macquarie, che ha comprato il 40% di Open Fiber. Tim non è italiana manco per niente, visto che il 23.75% è della francese Vivendi e il 44.27 di altri investitori esteri. Ma per non farsi mancare il conflitto d’interesse Cassa depositi e prestiti ne possiede il 9.81%.
Dunque: la rete l’hanno pagata i cittadini italiani, l’ha svenduta lo Stato italiano, l’hanno depredata gli imprenditori italiani, l’hanno comprata investitori non italiani e ora tocca agli italiani rimetterci i soldi per farla funzionare.
S’ha da fare? C’è una posta di 3.4 miliardi, legata al Pnrr. La rete unica non è affatto condizione per farla funzionare bene, tanto che è sconosciuta in gran parte del nostro mondo. Ma nessuno ha la nostra mesta storia, resa possibile anche da Autorità di controllo incapaci di controllare. Farla ha un senso se serve a restituire una rete decente ai depredati italiani. Farla è una vergogna se serve a pagare i debiti degli sciagurati, italiani e non. Non bastano le buone intenzioni di oggi, servono garanzie per l’immediatamente dopo. A questo serva il negoziato oggi aperto. O lo si chiuda per decenza.
La Ragione