Da una parte, a sinistra, fanno la faccia terrorizzata per quel che la destra potrebbe ordire contro l’Europa (sempre senza chiamarla con il suo nome: Unione europea), dall’altra non perdono occasione per parlare di Europa a pezzi, che non è una bella premessa per gioirne.
Da una parte, a destra, invocano l’unità europea per far fronte a problemi che nessuno è minimamente in grado di affrontare da solo, dall’altra vorrebbero stabilire che la Nazione viene prima dell’Unione. Non si tratta solo di eurosvagati per diletto, ma proprio per difetto di analisi e comprensione di quel che succede. Compresa l’iniziativa tedesca.
La maggiore difficoltà che l’Italia trova, nel far valere le proprie proposte, la palpabile diffidenza che suscita fra i vertici europei, è dovuta alla vittoria della destra? No. Almeno non ancora. Chi ha cervello aspetta i fatti, che sono ancora di là da venire. Difficoltà e diffidenza ce li siamo conquistati facendo cadere il governo Draghi.
Il tandem franco-tedesco era diventato un triciclo, per giunta con noi al manubrio. E in Italia s’è fatto fuori Draghi. Anche quanti, e non sono pochi, fra i vertici europei sono grati per questa trovata, comunque considerano deficienti quelli che l’hanno prodotta.
Veniamo al gas: perché si fa fatica ad arrivare al tetto al prezzo e perché i tedeschi mettono 200 miliardi sul piatto? Al tetto spero e penso si arrivi, ma si fa fatica perché qui ciascuno fa il furbo: c’è chi ha contratti a lunga scadenza con prezzi inferiori a quelli oggi di mercato e chi (come noi) può trarre vantaggio strategico dalla crisi attuale, diventando hub mediterraneo, come la Germania è stato hub continentale.
I 200 miliardi tedeschi, che sono soldi loro, non come quelli del Pnrr, che non sono nostri, sono il più forte indizio su chi ha minato il gasdotto North Stream, perché i tedeschi si sono convinti che Putin è pronto non solo e non più a strangolare con il prezzo, ma ad asfissiare chiudendo. Ora, non fra due anni. E la Germania si trova in guai grossi, più dolorosi dei nostri.
Ora torniamo all’Ue e alle convenienze, collettive e nazionali. Il successo collettivo più importante, in questa faccenda, è avere mantenuto l’unità e la fermezza. Orban è un reietto che conta un accidente.
Se Putin non vuole crepare sotto le macerie da lui stesso provocate deve assolutamente e in fretta minare quell’unità. Questa è la principale ragione per cui la gestione del tema gas non può che essere europea, mica le bollette. Putin punta all’escalation delle minacce, noi rispondiamo con quella delle sanzioni. Il tubo del gas si strozza e lo bucano. E qui c’è il rischio tedesco.
Avendo molte più disponibilità (bravi), potendo fare debiti a un prezzo inferiore a quello di altri e nostro in particolare (per merito loro e colpa nostra), usare quella potenza per rendere asimmetrico il dolore di questo scontro rischia di disarticolare l’unità. Che è preziosa.
Ma come noi facciamo bene a farlo osservare, loro fanno bene a dirci: i quattrini vostri ce li mettiamo noi, voi avete il Mediterraneo e noi no, per giunta ogni tre per due c’è qualcuno che se la prende con noi e invoca la vostra privata sovranità, sicché andate … ad arrangiarvi. Da qui la dichiarazione di Sholz: l’Italia non è una bomba. Tradotto: non sbombateci. L’asse con la Francia di Macron serve a riequilibrare, ma vi ricordo ancora un dettaglio: sanno tutti che fra qualche giorno noi non saremo più l’Italia di Draghi.
Benissimo tutelare i “nostri interessi”, ma devi sapere quali sono. E il principale, in questa partita, è conservare l’unità sul tema del gas, il che comporta negoziare senza piagnucolare o far tragedie se non passa tutto subito.
Aiuterebbe non poco, nel frattempo, dire in maniera chiara che metteremo i ragionieri a fare i conti del Pnrr, per sapere cosa aggiornare, ma gli impegni sulle riforme si confermano e mantengono tutti, come anche gli impegni presi circa gli strumenti di garanzia, Mes compreso. L’interesse dell’Italia è stare al sicuro in Ue, non mettere al sicuro le legioni elettorali, di ritorno dai trionfi.