Il successo del Movimento 5 stelle è figlio soprattutto di un’urgenza psicologica: l’urgenza degli elettori di manifestare la propria esasperazione a un establishment politico che ritengono incapace, autoreferenziale, corrotto. È giustificata, quest’urgenza? Se non del tutto giustificata, di certo ha radici profonde. Lo dimostra il fatto che non è soltanto italiana, ma la troviamo in pressoché tutte le democrazie. Giustificata o non giustificata che sia, a ogni modo, cedere al suo richiamo ha la funzione di placare la frustrazione, far sfogare la rabbia. Non quella di trovare soluzioni ai problemi del Paese.
E perché dovremmo meravigliarci, allora, se nel momento in cui deve affrontare le drammatiche condizioni della Capitale, la giunta Raggi, invece che essere aiutata dalle parole d’ordine del Movimento, ci sbatte contro come fossero un muro? Le cose stanno andando esattamente come dovevano andare: princìpi nati per soddisfare l’indignazione la soddisfano, ma non giovano a governare.
Ma di quali princìpi stiamo parlando? Di quattro assiomi, mi pare. Il primo: chi si organizza per far politica costruisce un’oligarchia di parassiti (un’idea mica tanto nuova: Michels l’ha scritto più di cent’anni fa), quindi la politica dev’esser fatta da gente comune, rimpiazzata di continuo, e in contatto permanente con la «base». Il secondo (conseguente dal primo): le competenze non servono, anzi sono pericolose – molto meglio un portavoce dell’«intelligenza collettiva». Il terzo (conseguente dai primi due): chi amministra la cosa pubblica, poiché non ha competenze, è solo un portavoce, e deve farlo per civismo, va pagato poco. Il quarto e ultimo: l’incompetente portavoce dell’intelligenza collettiva ha da esser onesto al di là d’ogni ragionevole dubbio. Il che nell’Italia del 2016 vuol dire: si deve dimettere al primo refolo di vento giudiziario.
In brevissimo tempo, le vicende (surreali a dir poco – ma, di nuovo, quale meraviglia?) della giunta Raggi stanno mostrando che, al calor bianco della realtà, questi princìpi si sciolgono come la neve. I cronisti politici ci dicono di scontri sempre più aspri fra le correnti interne del movimento, dei quali l’amministrazione romana sarebbe vittima. Fosse vero anche solo un terzo di quello che raccontano, una cosa sarebbe comunque chiara: il movimento un’oligarchia politica l’ha generata eccome. Più nuova delle altre, certo. Ma ancora più oscura e meno regolamentata, poiché nasce da un movimento che per principio rifiuta le oligarchie.
Proseguiamo. Alzi la mano chi s’illude che un garbuglio incancrenito come quello romano possa essere sbrogliato senza avere competenze legali, amministrative, contabili. E infatti, la sindaca Raggi si è rivolta a chi quelle competenze le ha. Appena meno illuso, chi pensa che quelle competenze le si possa avere senza pagare. Il senso di servizio alla comunità, via, è roba da libro Cuore. E infatti, la sindaca Raggi ha allargato i cordoni della borsa. S’illude ancora di più, invece, chi crede che persone esperte delle pubbliche amministrazioni, in un Paese avvolto da una fitta ragnatela di norme mal scritte e contraddittorie come il nostro, possano sfuggire a lungo alla magistratura. E infatti, la sindaca Raggi ha nominato in un assessorato-chiave una persona indagata, Paola Muraro, sapendo che lo era. La sindaca insomma, per quanto in maniera assai ondivaga e maldestra, ha fatto esattamente quello che deve fare chiunque voglia risolvere i problemi di Roma: s’è rivolta a persone competenti, le ha pagate, e ha tollerato che fossero indagate. Con buona pace dei princìpi non negoziabili del Movimento.
La morale della favola? Cari elettori italiani, volete dare soddisfazione alle vostre urgenze psicologiche? È legittimo, fate pure. Basta che poi non chiediate anche di essere ben amministrati. «Ma pure gli altri hanno amministrato male», mi risponderanno soprattutto i romani. «E in più – aggiungeranno – votandoli non abbiamo nemmeno placato la frustrazione». Questo, ahinoi, è verissimo. E tuttavia, fra l’amministrare male, anzi malissimo, e l’amministrare peggio, passa ancora una differenza. Speriamo davvero per la povera Roma che, dal peggio mostrato finora, la giunta Raggi risalga almeno un po’.
Giovanni Orsina, La Stampa del 6 settembre 2016