“Italia, Repubblica populista fondata sull’informazione di garanzia”: è la tesi provocatoria di Giandomenico Caiazza (avvocato, presidente del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei) espressa durante la puntata di Il rovescio del diritto – La pillola di sabato 10 settembre 2016.
Proponiamo il brillante intervento in forma trascritta e audio.
Italia, Repubblica populista fondata sull’informazione di garanzia
Se mai il legislatore che nel 1988 licenziò il nuovo codice di procedura penale avesse potuto immaginare quale inferno politico, istituzionale e sociale avrebbe potuto scatenare l’art. 369 appena redatto, lo avrebbe –ne sono certo- immediatamente cancellato.
Parlo dell’articolo che introduce e regola la ormai famigerata “informazione di garanzia”, quella innocua nota –ed anzi, nelle intenzioni del legislatore, schiettamente garantista- che il Pubblico Ministero è tenuto ad inviare all’indagato (ed alla persona offesa) «per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno…con indicazione delle norme di legge che si assumono violate – si noti subito: che si “assumono” violate- ; della data e del luogo del fatto e con invito ad esercitare la facoltà di nominare un difensor.
Diversamente da quanto mostra di intendere la pletora di analfabeti che, ciononostante, non parla d’altro, il P.M. non spedisce questa riservata comunicazione per il solo fatto che esista una indagine. Se questa ormai tracimante canea di populisti inforconati avesse la compiacenza almeno di leggerlo, quel benedetto articolo 369, forse riuscirebbe a riflettere sull’incipit della norma: «Solo quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere, il pubblico ministero invia per posta eccetera eccetera».
“Solo quando”: dunque, la regola è che le indagini preliminari debbano svolgersi in assoluto segreto, a meno che non sia necessario compiere atti che esigano, a pena di nullità, la presenza di un difensore dell’indagato. Devo perquisire la tua abitazione, devo interrogarti, devo eseguire una ordinanza di custodia cautelare, dunque tu hai diritto ad essere assistito dal difensore e perciò io ho il dovere di informarti, seppure laconicamente, di ciò su cui ti sto indagando. A tua garanzia, appunto.
Insomma, l’informazione di garanzia è una manifestazione solo eventuale, ed anzi teoricamente eccezionale, di una indagine che esiste del tutto a prescindere da essa. Tanto basterebbe già di per sé a far comprendere perfino agli ottusi bifolchi inforconati che ormai spadroneggiano nel nostro Paese, quanto sia assurda ed ingestibile la pretesa di fare della informazione di garanzia il discrimine per accedere alla politica ed alla amministrazione della vita pubblica.
Se Mario e Giuseppe sono entrambi indagati, accadrà che magari l’uno possa fare l’assessore e l’altro no a seconda di chi abbia dovuto sapere –dovuto sapere- della esistenza di una indagine a suo carico; o che possano fare gli assessori solo se e fino a quando l’indagine non debba svolgersi attraverso un atto garantito, che ne imponga la discovery all’indagato.
Ecco allora che si assiste a penose contorsioni e distinguo nemmeno più in ordine alla esistenza della indagine, ma alle modalità con cui l’indagato ne ha avuto notizia. L’assessore capitolino Muraro, per dire, è ufficialmente ancora al suo posto perché ha appreso di essere indagata non da una informazione di garanzia, ma a seguito di una richiesta di informazioni esercitata dal proprio legale. “Quando riceverà l’informazione di garanzia, valuteremo”: parole ufficiali del sindaco Raggi. Strabiliante.
Ma poiché il cappio si stringe sempre di più al collo di chi fino ad oggi ne ha insaponato la corda, costruendoci le proprie fortune elettorali, e quei distinguo acrobatici sono destinati ad essere travolti dalla propria stessa insipienza, ecco che il grande regista del forconismo politico giudiziario nostrano, Marco Travaglio, ormai autoproclamatosi supremo Imam della ortodossia morale e politica dei cittadini e delle istituzioni della repubblica, corre ai ripari. Occorre distinguere, scrive: non tutte le informazioni di garanzia legittimano l’impiccagione morale e politica dell’indagato, ma solo quelle che annunciano indagini per “reati infamanti”. Ha scritto proprio così. Purtroppo, non è stata ancora diffusa la lista dei reati infamanti e di quelli no: attendiamo fiduciosi. Nel frattempo, la sindaca Raggi, in uno scatto di orgoglio, dichiara: la sorte dell’assessore Muraro non la decidono i giornali, ma i Pubblici Ministeri. Lo ha proprio detto, e –ripeto- con sguardo fiero.
Dunque basta che un PM indaghi su alcuni fatti, ipotizzando possibili reati, al fine di valutare se debba eventualmente essere esercitata o meno l’azione penale in relazione ad essi, e sia costretto a darne comunicazione all’indagato; e tutto ciò prima ancora che un Giudice (perché veda, avvocatessa Raggi, esistono anche i Giudici, oltre ai Pubblici Ministeri) esprima una qualsivoglia valutazione su quella ipotesi; basta questo per consentire o invece impedire, ed in tal caso con pubblico ludibrio, ad un cittadino di concorrere alla amministrazione della cosa pubblica.
La prossima riforma dovrà ormai riguardare l’art. 1 della nostra Costituzione: «L’Italia è una Repubblica populista fondata sull’informazione di garanzia».