Inutile girarci attorno: il regionalismo differenziato è un pasticcio insensato che non potrà mai funzionare. In queste ore non prende forma, ma ulteriormente sforma la Costituzione che la sinistra scassò nel 2001. E non è una questione di parti politiche, tanto che la destra odierna reclama l’applicazione di una (pessima) riforma che fece la sinistra. Semmai si tratta di parti in commedia, di chi vuol recitare la parte dell’autonomista senza disporre di cultura dell’autonomia. Non stiamo parlando di centralismo e regionalismo, ma di propagandismo privo di realismo.
Tutto si muove nel vago e nell’approssimativo. L’autonomia differenziata può <<riguardare una o più materie, o più ambiti di materie>>. Come giocare a mosca cieca. L’ancoraggio di chi pensa di compensare e mitigare sarebbero i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni da fornire ai cittadini, ma la loro fissazione è rimandata a un Decreto del presidente del Consiglio dei ministri e il loro finanziamento resta materia da seduta spiritica. Come se non si potesse partire dal disastro della regionalizzazione sanitaria, che ha distrutto il sistema sanitario nazionale, ha trasformato le regioni in enti sanitari che destinano a quello l’80% della spesa, generato debiti nascosti sotto i tappetini regionali (fin quando non si sarà costretti a contabilizzarli nel debito pubblico nazionale, e saranno dolori seri) e creato cittadini con sanità funzionante e cittadini senza. Una volta negoziata la differenziata regionale, diversa regione per regione, quell’assetto resta fermo per 10 anni, può essere disdetto un anno prima della scadenza, altrimenti resta tacitamente rinnovato. Come fosse un rapporto fra diverse statualità e non un’articolazione del medesimo Stato, nel qual caso non avrebbe senso questa bislacca regola. Il tutto finanziato con il trattenimento in sede regionale di quote crescenti della fiscalità generale. Ovvero il fallimento culturale dell’autonomia.
Ove fosse una cosa seria partirebbe capovolgendo proprio questo assunto: l’amministrazione centrale fa scendere le proprie pretese fiscali, tagliando la spesa e liberandosi di competenze, sicché toccherebbe alla mano che domani spenderà adoperarsi per incassare, imponendo tributi. Autonoma è solo la mano che spende i soldi che incassa dai cittadini, non quella che reclama parte dei soldi che ai cittadini sono tolti da altri. Altrimenti si crea un caos fiscale in cui io contribuente non so mai chi è che mi sta portando via soldi e perché. Ove la mano fosse la stessa potrei decidere, alle prossime elezioni, se stringerla o mozzarla. Invece me le trovo alleate nel prelevare, litigiose nello spartire e nascoste nel risponderne. Questo non è autonomismo, questa è una classe differenziale di partitanti parolai.
Questa minestra riscaldata senza mai essere stata cucinata e che non potrà mai essere digerita può consentire, come folkloristicamente già si vede, a una regione di stabilire che in quella non si può mettere meno di 4 a scuola, che, se non altro, rivela quale reale timore affligge gli astanti. Ed è facile prevedere, come per la spazzatura, che ci sarà qualche posto in cui la differenziata sarà presa seriamente, mentre in altri si butterà tutto nell’indifferenziata. Anche perché alla prima crisi, al primo problema per affrontare il quale mancano i soldi il presidente regionale della differenziata reclamerà l’intervento dello Stato, per metterci una toppa e sganciare altri quattrini. Un trionfo d’irresponsabilità fiscale e confusione istituzionale.
Ergo: possono fare quel che credono, mediare fra impostazioni e modelli opposti, portare a casa la bandiera già smandrappata e, come la sinistra del 2001, scassare senza pagare i danni, ma resta sicuro che questa roba non potrà mai funzionare. Sarà solo l’ennesimo capitolo del propagandismo senza cultura dell’autonomia, i cui scarti finiranno nel mucchio dell’indifferenziata raccolta d’orrori legislativi. O, meglio, non se ne farà nulla.