Fulminati

Fulminati

Stupisce lo stupore. E se non stupisce comunque disturba la superficialità, la grossolanità e la demagogia un tanto al chilo. Lasciamo perdere la politica, che si è tristemente abituati a quanti sperano d’essere creduti quando dicono una cosa e il suo opposto, ma qui è una gara populista cui partecipa anche il mondo dell’informazione. Sono gradite le opinioni diverse, ma non le informazioni false, monche o ammiccanti.

L’Europa, dunque, ci toglie le nostre vetture nel 2035. Che non è l’Europa, ma un voto del Parlamento europeo, dove ci si divide per opinioni politiche e non per nazionalità, così come in quello italiano non ci si divide per regioni. Il voto del Parlamento europeo arriva dopo la proposta della Commissione europea, che è già passata al Consiglio europeo. Sede nella quale è stata condivisa dal governo italiano, nell’ottobre del 2022, dopo un consueto negoziato fra i diversi interessi ed esigenze (al Ministero delle attività produttive sedeva l’attuale ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, che, se la memoria non m’inganna, milita nella Lega). La parte relativa alle autovetture è solo un tassello del più generale piano per la decarbonizzazione, con scadenza 2050 e diverse tappe intermedie. Piano che, alla sua adozione, non destò l’opposizione italiana e semmai in diversi lo ritennero in parte rinunciatario. Quindi non è una novità, è già stato approvato dal governo italiano e quella continua a chiamarsi “Unione europea”, non “Europa”, di cui noi continuiamo ad essere parte, sicché non ci impone un bel niente. In ogni caso le vetture a benzina ci saranno anche nel 2055, sempre che trovino un distributore di carburante, perché dal 2035 cesseranno le immatricolazioni, non la circolazione.

Fa specie trovare questo linguaggio approssimativo e stoltamente oppositivo su testate che talora s’impancano a dar lezioni ci coerenza europeista. Semmai sarebbe stato il caso di sottolineare le novità che il voto parlamentare ha introdotto, come gli stadi intermedi di accertamento e controllo che tutto fili liscio, come la necessità di piani finanziari che assecondino la transizione.

E veniamo agli interessi, di cui già parlammo quando la direttiva fu inviata al Parlamento e gli altri, evidentemente, non se ne accorsero. L’attuale mercato delle vetture non lo si conserva neanche volendo, tanto è vero che tutte le case produttrici già affiancano l’ibrido e l’elettrico. Se si allungano i tempi non si fa che ritardare la competitività dei nostri produttori, facendo un regalo a quelli allocati in altre aree del mondo. La favola che la direttiva sarebbe un regalo alla Cina presuppone l’ignoranza di quel mondo. Intanto perché il leader tecnologico si trova, semmai, negli Stati Uniti. Poi perché non stiamo parlando delle batterie che alimentano bici e monopattini (eravamo noi contro quei bonus, anche perché si davano soldi del contribuente a produzioni orientali), ma di accumulatori dove abbiamo noi un vantaggio tecnologico. Che si tratta di tradurre in produttivo, da qui le tappe intermedie.

Le case produttrici non dicono che è sbagliata la direttiva, ma ne approfittano per chiedere sovvenzioni. Cosa ben diversa. Mentre se ne lamenta una parte dell’indotto, perché chi produce pezzi di motore sarà spiazzato, se non riconverte. Ma l’Italia ha un indotto automobilistico vasto, che perderemmo veramente se i produttori europei restassero indietro.

Tutto bene? No. Perché c’è un enorme lavoro da fare nella produzione di energia e nella rete delle colonnine per le ricariche. E perché non c’è ragione al mondo per escludere in sede politica altre soluzioni tecnologiche, come l’idrogeno e i combustibili bio. Il tutto a tacere della questione ambientale, che i medesimi organi d’informazioni trattano con toni accorati, ma in altre pagine. Non comunicanti.

Se la comunità politica talora non brilla per lucidità e coerenza è perché parte di una classe dirigente abitata anche da questo giornalismo. Se si vota e legge di meno, forse una ragione c’è.

 

La Ragione

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