Renzi può considerarsi fortunato: stanno per portargli in dote una Fondazione. Mica poco. In politica non si rifiuta mai nulla, figuriamoci un think tank espressione di un’area moderata indipendente del calibro della fondazione Einaudi.
Nella storica istituzione di ricerca e promozione di politiche pubbliche liberali tira aria di rivolta, visto che la minoranza del vecchio Cda e parte del comitato scientifico sono usciti allo scoperto per denunciare il tentativo di «trasformare l’Einaudi in un soggetto politico» che si appenda al bavero la spilla del renzismo. Obiettivo dell’ammutinamento è l’attuale presidente della fondazione, Giuseppe Benedetto, 62enne avvocato siciliano: la minoranza lo accusa di voler usare l’ente per contribuire alla creazione di un partito liberale da affiancare al Pd ed assicurarsi visibilità personale.
Lunedì mattina Benedetto ha convocato un’assemblea straordinaria per eleggere un nuovo Cda. Una mossa annunciata da giorni e che aveva fatto scatenare la rivolta di buona parte del comitato scientifico. Giovedì scorso si era dimesso il consigliere Alberto Pera ed altri quattro (su sette) avevano firmato una lettera di fuoco. Nella missiva Giancarlo Cremonesi, Mario Lupo, Enrico Morbelli e Giovanni Orsina prendevano «le distanze» dal presidente per «non essere coinvolti nelle responsabilità politiche e legali nelle quali sta incorrendo». Alla protesta si erano aggregati anche il direttore generale, Pietro Paganini, e il direttore scientifico, Lorenzo Castellani che in un’altra lettera esprimevano irritazione per la «pretesa di deviare nell’agone politico» la fondazione, denunciando inoltre «l’esplicita e improvvisa richiesta di adeguarci alla linea politica» filo-governativa dettata da Benedetto.
Restano da capire le motivazioni di una simile manovra. La minoranza parla di un «mai celato sogno» del presidente di ottenere uno scranno in Parlamento. Non sono certo un segreto i buoni rapporti che legano Benedetto al viceministro Enrico Zanetti. Relazione che potrebbe assicurare l’appoggio dell’ente alla creazione di una futura aggregazione di moderati da posizionare a fianco del Pd, assicurando peso e rappresentanza istituzionale. Condannando così l’Einaudi a finire nel calderone di alleanze mescolato da Renzi e Verdini. Accuse ovviamente rigettate dalla maggioranza vicina a Benedetto come infondate. Ma non è tutto: con l’abolizione del finanziamento pubblico, dal 2017 i partiti dovranno cercare donazioni da parte di privati o enti giuridici, una partita in cui la fondazione potrebbe giocare un ruolo, avendo la possibilità di raccogliere soldi senza rivelare i nomi dei soci.
Due giorni fa, nonostante le proteste, l’assemblea ha eletto il nuovo Cda, sebbene da statuto il precedente sarebbe potuto rimane in carica fino al 2019. I più maligni potrebbero pensare che la fretta di sostituirlo derivi da un’attenzione ai futuri appuntamenti elettorali: assicurarsi un Consiglio «amico» sarebbe infatti una mossa saggia per chi vuol garantire (e garantirsi) un futuro politico (di sinistra) alla Fondazione Einaudi.
Giuseppe De Lorenzo, Il Giornale 5 ottobre 2016