C’è ancora chi pensa che il mercato fallisca e che sia necessario, per questo motivo, l’intervento riparatore dello Stato. Un recente, clamoroso caso di cronaca che coinvolge una grande multinazionale come la coreana Samsung ci aiuta a capire come questo pregiudizio sia falso. Ci interessa poco difendere i coreani, ci interessa di più salvare il principio.
Ma andiamo con ordine e partiamo dal principio. L’azienda è un colosso, uno di quelli invisi ai teorici della decrescita, ai fautori del rischio delle multinazionali, ai critici del capitalismo. I numeri sono pazzeschi. Il gruppo fattura quasi 180 miliardi di dollari: per capirsi, un decimo dell’intera ricchezza prodotta in un anno in Italia. Dà lavoro a più di 320 mila dipendenti. È il numero uno al mondo nella produzione di televisori e telefonini intelligenti, i cosiddetti «smartphone». E proprio a causa di uno di questi sta rischiando grosso.
Solo su uno dei suoi modelli (il Galaxy Note 7) la batteria ha mostrato la seccante caratteristica non solo di surriscaldarsi, ma anche di prendere fuoco. Su 2,5 milioni di modelli in circolazione, l’evento è accaduto su meno di cento apparecchi. Grave, gravissimo. Ma circoscritto a un solo modello e a casi ridotti, rispetto al volume di vendite attese. In tre giorni il titolo ha perso in Borsa la bellezza di 20 miliardi e altrettanti, secondo gli analisti di Credit Suisse, ne rischia di perdere dal punto di vista specifico del business. L’azienda coreana ha subito ritirato l’apparecchio incriminato e probabilmente cancellato dal suo catalogo di vendita anche per il futuro.
Come per i Luigi in Francia, il rischio è che il sette sia un numero, per la serie Note, che verrà di fatto cancellato.
Ma questa vicenda cosa insegna? Una cosa banalissima. Le multinazionali, a dispetto dei soloni dell’intervento pubblico, sono ossessionate solo da una cosa: i consumatori. Sono questi ultimi che decidono le loro fortune. Anche un big come Samsung, che negli anni ha conteso il primato all’americana Apple, rischia grosso per un errore che ha commesso e che i suoi consumatori gli stanno facendo pagare caro. Forse anche troppo. Le compagnie aeree che avvertono sui rischi di incendio provocati dagli smartphone mettono tutti gli apparecchi nello stesso calderone. Infuocato.
Cerchiamo, per un secondo, di ragionare in modo capovolto. Il modo burocratico con cui interviene il pubblico. Quest’ultimo potrebbe fare una legge, una direttiva, e implementarla con minuziosi controlli. Potrebbe decidere standard di sicurezza (che comunque ci sono). Ma l’effetto sarebbe quello di uniformare il comportamento delle imprese al rispetto delle procedure, di abbassare gli incentivi alla ricerca. Un centinaio di Note si è incendiato proprio perché la miniaturizzazione si è spinta oltre, la competizione gli ha fatto commettere un passo falso. È il sapore del mercato, la sua essenza. Il mercato quando fallisce, insegna.
Lo Stato quando fallisce, blocca l’innovazione e la ricerca. I coreani spendono 12 miliardi in ricerca e sviluppo proprio perché sono liberi di sbagliare e di assumersene il rischio.
Insomma, il caso Samsung insegna che le imprese, anche le più grandi e lontane, hanno un solo dominus: il consumatore. È la democrazia del mercato. E se i coreani sapranno risalire la china, ciò sarà dovuto solo a quel processo di trial and error che è tipico del moderno sistema capitalistico, tanto odiato dagli statalisti politicamente corretti.